- Cosa è l’invecchiamento?
- L’invecchiamento è inevitabile?
- Cosa è il ringiovanimento?
- Cosa è l’estensione della vita?
- Quali sono i benefici dell’estensione della vita?
- Cos’è la trance pro-invecchiamento?
- Curare l’invecchiamento causerà sovrappopolazione?
- Invecchiare è naturale… curare l’invecchiamento sarebbe “contro natura”?
- Curare l’invecchiamento causerebbe noia?
- La cura dell’invecchiamento sarebbe solo per ricchi?
- E i dittatori?
- Curare l’invecchiamento sarebbe egoistico?
- E le pensioni? Che ne pensa l’INPS? “Spero proprio di invecchiare e non vivere a lungo: io voglio andare in pensione”
- Non invecchiare vorrebbe dire lavorare per sempre?
- E il ricambio generazionale?
- Tutto ha un inizio e una fine?
- La brevità della vita è ciò che la rende preziosa?
- E il presunto valore della finitezza?
- Le cose si apprezzano solo quando si perdono?
- Invecchiare è un privilegio?
- Non viviamo già abbastanza? Chi vuole vivere per sempre?
- Obiezioni e affermazioni riguardanti la morte e la mortalità
- La morte dà senso alla vita?
- Vivere per sempre sarebbe una condanna?
- L’immortalità è una fissazione dei miliardari?
- “La morte fa parte della vita”….!
- Senza la morte non ci sarebbe la vita?
- La morte è la migliore invenzione della vita?
- Senza la morte come faremmo ad evolvere?
- Senza la morte non ci sarebbe stata evoluzione, non ci sarebbe l’uomo, ecc.
- La morte è il motore che consente alle idee nuove di farsi largo e cambiare il mondo?
- E la felicità?
- Riferimenti
Alcune brevi risposte a dubbi, commenti e obiezioni che emergono quando si parla di invecchiamento. Su ognuno di questi argomenti si potrebbe scrivere un articolo intero, o meglio un libro.
Cosa è l’invecchiamento?
Quando si parla di qualcosa, è essenziale definire bene di cosa si sta parlando e poi tenerlo bene in mente, perché il fraintendimento è la regola più che l’eccezione. Anche se un luogo comune sull’invecchiamento recita che “il tempo passa per tutti”, è cruciale capire invece che l’invecchiamento (scientificamente senescenza) non è il passare del tempo, ma è l’accumulo di danni, con relative conseguenze. Nel grafico sottostante vediamo le conseguenze.

Riportiamo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità:
A livello biologico, l’invecchiamento è il risultato dell’accumulo di un’ampia varietà di danni molecolari e cellulari nel corso del tempo. Questo porta a una graduale diminuzione delle capacità fisiche e mentali, a un crescente rischio di malattie e infine alla morte. Questi cambiamenti non sono né lineari né coerenti e sono solo vagamente associati all’età di una persona in anni. La diversità riscontrata nell’età avanzata non è casuale. Oltre ai cambiamenti biologici, l’invecchiamento è spesso associato ad altre transizioni di vita come il pensionamento, il trasferimento in un alloggio più appropriato e la morte di amici e partner.
Condizioni di salute comuni associate all’invecchiamento
Le condizioni più comuni in età avanzata includono la perdita dell’udito, la cataratta e gli errori di rifrazione, il dolore alla schiena e al collo e l’osteoartrite, la broncopneumopatia cronica ostruttiva, il diabete, la depressione e la demenza. Con l’avanzare dell’età, è più probabile che le persone soffrano di più patologie contemporaneamente.
L’età avanzata è caratterizzata anche dalla comparsa di diversi stati di salute complessi, comunemente chiamati sindromi geriatriche. Queste sindromi sono spesso la conseguenza di molteplici fattori sottostanti e includono fragilità, incontinenza urinaria, cadute, delirio e ulcere da pressione.
Fonte: OMS (https://www.who.int/news-room/fact-sheets/detail/ageing-and-health)
Quindi l’invecchiamento biologico è un problema perché implica perdita di salute, tempo e libertà, i valori più importanti. Non è possibile invecchiare e contemporaneamente rimanere in perfetta salute. O si rimane in perfetta salute, o si è danneggiati. (No, l’alternativa a invecchiare non è morire, è rimanere biologicamente giovani, cioè non danneggiati).
Attenzione su un fraintendimento comune: il passare del tempo in quanto tale può essere associato a cose positive, ma non per via dell’invecchiamento, ma ad esempio per via dell’apprendimento in seguito all’esperienza, o perché sono accadute cose buone. L’invecchiamento (senescenza) non ha nessun lato positivo in quanto si riferisce solo all’accumulo di danni e conseguente riduzione di salute. Nel valutare l’impatto di qualsiasi cosa, si cerca sempre di non fare danni, di non nuocere alla salute, quindi il danno biologico è proprio ciò che si vuole massimamente evitare.
Ogni volta che qualcosa che prima funzionava poi si danneggia senza più funzionare come prima, causando una riduzione di benessere, si può parlare di invecchiamento biologico [4]. Il continuo danneggiarsi porta a perdita di forma, vitalità, resilienza, salute e infine alla morte.
Lo scopo della ricerca biomedica è disaccoppiare gli anni dai danni, in modo che passino gli anni senza che si accumulino danni, e si possa quindi mantenere la salute, che è la cosa più importante, essendo la base per tutto il resto. Il bene alla base di ogni altro bene.
L’invecchiamento è inevitabile?
Nonostante la credenza comune, in assoluto no, perché, banalmente, esistono organismi viventi che non invecchiano, e addirittura possono ringiovanire. Quindi ci devono essere dei modi per non invecchiare. In altre parole, ci devono essere dei modi per evitare e/o riparare i danni in modo che non si accumulino. Infatti, la medicina rigenerativa ha in teoria il potenziale di riparare anche i danni dell’età. [1]

La medicina rigenerativa ha il potenziale di curare o sostituire tessuti e organi danneggiati da età, malattie, o traumi, così come di normalizzare deficit congeniti
Mao, A. S., & Mooney, D. J. (2015). Regenerative medicine: Current therapies and future directions. Proceedings of the National Academy of Sciences, 112(47), 14452–14459. https://doi.org/10.1073/pnas.1508520112
Molte persone hanno l’incrollabile certezza o la forte convinzione che l’invecchiamento sia inevitabile, come se si conoscessero tutte le leggi fisiche e biologiche (che nemmeno fisici e biologi conoscono). L’effetto Dunning-Kruger è un pregiudizio cognitivo in base al quale le persone con scarse capacità, competenze o esperienze in un certo tipo di compito o area di conoscenza tendono a sovrastimare le proprie capacità o conoscenze.
Scienziati e ricercatori, dal fisico Richard Feynman al biologo dell’invecchiamento David Sinclair, precisano invece come non esista alcuna legge biologica che imponga la necessità fisica o biologica di invecchiare.
Cosa è il ringiovanimento?
Il ringiovanimento (biologico) è il processo inverso dell’invecchiamento (biologico), quindi non è l’inversione del tempo, ma è la riparazione dei danni molecolari e cellulari che si sono accumulati. [1]
Questo porterebbe a un recupero delle capacità fisiche e mentali, a una riduzione del rischio di malattie e una minore probabilità di morte. In poche parole, la salute ne gioverebbe a vari livelli.
Oltre ai cambiamenti biologici, il ringiovanimento sarebbe associato alla possibilità di mantenimento delle attività e maggiore sopravvivenza di amici e partner. Si manterrebbe l’udito, ci sarebbero meno dolori, quasi si annullerebbe il rischio di demenza e di diabete di tipo 2, e il rischio di depressione sarebbe molto minore. Si ridurrebbe di molto il rischio di soffrire di più patologie contemporaneamente, non si avrebbero sindromi geriatriche che includono fragilità, incontinenza urinaria, cadute, delirio e ulcere da pressione.
Il ringiovanimento può essere locale, cioè parziale, non sistemico, quindi riguardare solo alcuni sottosistemi dell’organismo. Anche l’invecchiamento d’altra parte colpisce diversamente diversi distretti in base a fattori genetici e ambientali, cioè non tutti invecchiano allo stesso modo, sia perché conducono vite diverse in ambienti diversi, sia perché sono geneticamente diversi. Alcune persone potrebbero avere ad esempio una colonna vertebrale molto più invecchiata rispetto alla media del resto dell’organismo, oppure l’esposizione al sole, combinata con un diverso fototipo, potrebbe aver accelerato l’invecchiamento della pelle.
In generale, dato che l’invecchiamento è degenerazione (perdita di forma, struttura e identità), il ringiovanimento è rigenerazione (recupero di forma, struttura, identità). Vedi la pagina dedicata al ringiovanimento.
NOTA BENE. Al momento il ringiovanimento è un campo attivo di ricerca, con interessanti risultati, soprattutto sugli animali, e anche sull’uomo, ma non esistono ancora metodi validati e sicuri in grado di ringiovanire completamente animali e uomo. La ricerca è molto attiva.
Cosa è l’estensione della vita?
La libertà, la salute, il tempo e la qualità della vita sono le cose più importanti. L’estensione della vita si riferisce all’uso di varie strategie e tecniche di ringiovanimento, rigenerative, che mirano ad estendere la durata della salute e della vita di un organismo al di là di ciò che è considerato normale per la sua specie. L’obiettivo finale è prevenire o ritardare l’insorgere di malattie legate all’età e quindi aumentare la qualità della vita.
È importante notare che l’estensione della vita è diversa dall’immortalità. L’obiettivo dell’estensione della vita e della medicina è quello di estendere la durata della vita sana di un organismo, quella corrispondente alla giovinezza, ma non di renderlo immortale, invulnerabile.
D’altra parte, migliorare la salute e la qualità di vita implica anche aumentare la durata della vita, dato che la morte dipende dalle condizioni, cioè non è svincolata dal contesto fisico-biologico-psicologico. Non è possibile allungare la vita significativamente, se si continua ad invecchiare, cioè ad accumulare danni (vedi video Can you age forever?).
Quindi lo scopo è aggiungere vita agli anni e contemporaneamente anni alla vita (non si possono avere gli uni senza gli altri). Qualità e quantità vanno di pari passo. Se si sta malissimo si vuole morire, se si sta benissimo si vuole vivere, e questo è vero a livello fisico e psicologico.
In sostanza l’estensione della vita è lo scopo della medicina che tiene presente il concetto di restitutio ad integrum e la definizione di salute dell’OMS. La medicina rigenerativa considera questo obiettivo in modo più esplicito. [1]
Si tratterebbe di raggiungere una medicina veramente preventiva e curativa, e non solo tamponare i sintomi di innumerevoli malattie senza possibilità di riuscirvi in modo efficace. È un cambio di paradigma: la geroscienza è una branca emergente della ricerca biomedica che si concentra sulla comprensione della biologia dell’invecchiamento e delle malattie legate all’età. Cerca di identificare le cause alla base dell’invecchiamento e di sviluppare interventi che possano rallentare, fermare o addirittura invertire il processo di invecchiamento, dato che è di gran lunga la principale causa di malattie e infermità. Attualmente la percentuale di medicine in grado di curare veramente qualcosa è bassissima.
Lo scopo non è semplicemente l’assenza di malattia, che è comunque un obiettivo fondamentale, ma è essere felici e pieni di vita. Chiaramente se si è sempre più aggrediti dalle malattie e disabilità, sia noi che le persone che amiamo, sarà un po’ difficile essere felici o sereni, e sarà già tanto riuscire ad andare avanti. Se qualcuno fosse scettico c’è pure uno studio su Lancet che dimostra che le malattie causano infelicità (e non il contrario). [6]
Quali sono i benefici dell’estensione della vita?
Tenendo presente l’intersezione tra biologia dell’invecchiamento e patologia, i benefici riguardano:
- salute
- tempo in salute
- libertà
- maggiore possibilità di imparare e conoscere
- meno malattie
- più guarigioni
- meno lutti
- meno sangue e meno cadaveri
Vedi anche i benefici di un mondo post-invecchiamento.
Un video serio:
Cos’è la trance pro-invecchiamento?
La trance pro-invecchiamento (pro-aging trance) è quella retorica che, sostanzialmente, sostiene che invecchiare e morire è bello e dà valore alla vita, cioè sarebbe bello deperire, perdere la propria salute, quella dei propri cari, e morire.
Nonostante chiunque desideri stare bene e quindi come minimo anche vivere, quando si parla di risolvere il problema dell’invecchiamento, con una certa frequenza si manifestano (per lo meno a parole) questi anti-desideri che contraddicono palesemente quasi ogni azione e pensiero umano, che punta decisamente verso la salute e la vita. Si parla di trance perché è un “non rendersi conto” che queste affermazioni contraddicono ogni nostro comportamento e pensiero in tutte le altre circostanze, che è in primis quello di preservare la salute nostra e dei nostri cari, di vivere e stare bene, evitare danni e sofferenze.

Da giovane devi essere pieno di voglia di vivere e ti deve interessare realizzare i sogni ed essere in piena salute, altrimenti sei considerato problematico o malato, poi però dopo una certa età, misteriosamente, queste cose non dovrebbero essere più importanti e non si dovrebbe più tenere alla propria vita. Se prima si deve essere reattivi, combattivi e passionali, non arrendersi mai, poi, non si capisce perché, a una certa devi diventare sempre più indifferente alla tua condizione e accettare la tua distruzione. Vedi aspetti etici e violenza psicologica.
Questa trance è piuttosto frequente, più di quanto immaginassi. Ricordo bene il mio shock quando ad un seminario dissi qualcosa del tipo: “Be’, speriamo che la scienza risolva il declino dell’invecchiamento”. Sgomento, stupore in sala. La persona che teneva il seminario: “Ti immagini se si rimanesse tutti vivi?”.
Ah, oddio che tragedia…! Ah no, aspetta, ma non era “Moriremo tutti!” la tragedia? C’è davvero grossa confusione. Chiaramente non aiuta il bias dello status quo (vedi appello alla natura: https://en.wikipedia.org/wiki/Appeal_to_nature).
Qui un esempio online di trance pro-invecchiamento: commenti al post di focus del 21 marzo 2023 (titolo clickbait che non fa capire nulla, comunque).
A proposito, cosa potrebbe accadere di così drammatico — addrittura più di malattie gravissime e morte? — se rimanessimo tutti vivi? Sovrappoplazione? Morte e distruzione? Cioè per evitare ipotetiche conseguenze “disastrose” legate alla sovrappopolazione, dovremmo danneggiarci, perdere la salute, ammalarci gravemente e morire? Insomma per evitare ipotetici incidenti d’auto, invece che lavorare sulla sicurezza delle auto, ci sdraiamo sui binari del treno? Geniale. 🥴
Vediamo comuque questa obiezione.
Curare l’invecchiamento causerà sovrappopolazione?
Il concetto di sovrappopolazione dipende da vari fattori, tra cui il numero di persone, lo spazio a disposizione, le risorse e la gestione delle risorse. Il numero di persone, a sua volta, dipende da due fattori: mortalità e natalità.
Quindi la mortalità è solo uno dei tanti fattori in gioco (ne ho elencati 6), e non ci si può basare solo su quello per concludere che se le persone non morissero di vecchiaia, questo causerebbe sovrappopolazione. Saltare alle conclusioni in modo non necessario è sempre un errore.
Inoltre ci sono aspetti etici fondamentali da tenere in considerazione, in particolare tendendo presente il diritto alla vita e alla salute. Un articolo pubblicato sul Journal of Medical Ethics mostra l’infondatezza di questa etica letale. [7]
Per una discussione più approfondita sul tema della sovrappopolazione in relazione alla possibilità di curare l’invecchiamento, si veda il video dedicato di Andrew Steele, biologo dell’invecchiamento e ambientalista, qui sotto, e la pagina dedicata.
Invecchiare è naturale… curare l’invecchiamento sarebbe “contro natura”?
Ci sono tonnellate di confutazioni, da vari punti di vista, per questa frequentissima obiezione. Vediamo, immagino che stai leggendo queste righe da un computer o da uno smartphone connesso ad internet… indossando dei vestiti, e forse gli occhiali: praticamente ogni cosa che ci circonda non è “naturale”.
In ogni caso questa obiezione non è valida in quanto basata su una fallacia logica nota come appello alla natura. Ma poi… ha senso il concetto stesso di “naturale” o è una arbitraria suddivisione creata dall’uomo (vedi link qui sotto)?
Come se non bastasse, in realtà in natura esistono diverse specie che non invecchiano, quindi è anche naturale non invecchiare. E trovare nuovi modi per prevenire malattie e morte è del tutto naturale per l’uomo, mentre sarebbe innaturale non farlo. E, per finire, anche se l’invecchiamento fosse (ma non lo è) una legge di natura, non è detto che significhi che non possiamo farci niente. Ad esempio, la gravità è una legge di natura, eppure esistono uccelli e aeroplani che hanno trovato il modo di volare, contrastando la legge di gravità. Ok, forse per adesso può bastare. Sotto degli ottimi link su alcuni temi chiave:
- Cos’è “naturale” e cosa non lo è? | Il Post
- Naturale e innaturale sono concetti moralmente rilevanti? < COS’È IL NATURALE? < Robert Spaemann
- Cosa è CONTRO NATURA? | Gaia Contu
- Ma noi siamo “….” per natura? | Entropy for Life
Data la frequenza di questa obiezione, ci sarà una pagina dedicata all’appello alla natura.

Curare l’invecchiamento causerebbe noia?
“Sai che palle!”. Aspetta…. in che senso poter rimanere giovani e in salute invece di deperire male (il sogno dell’uomo da sempre) sarebbe noioso? Cioè, davvero esiste qualcuno che crede sia meglio soffrire di disabilità e malattie correlate all’invecchiamento (cosa che cerchiamo già di contrastare, ma con approccio inefficacie), vecchiaia e morte, perché forse qualcuno correrebbe il rischio di annoiarsi? Vedere questa clip per capire l’assurdità di tale prospettiva:
Si consideri anche l’avanzamento della società e della tecnologia, la possibilità di rifarsi una vita, trovare la strada, la persona giusta, eccetera. Pensare una cosa del genere significa non avere le idee molto chiare o non aver riflettuto a sufficienza o studiato il problema. In ogni caso è un salto alle conclusioni, doppio, carpiato, con triplo avvitamento.
Inoltre, dato che siamo tutti diversi, ognuno dovrebbe poter scegliere in base al proprio modo di essere.
Purtroppo, molte persone si ritrovano a vivere una vita basata sul dovere invece che sul piacere, la bellezza, la passione, e in questo caso è comprensibile che abbiano il terrore che la vita si allunghi. Emblematica una testimonianza riportata su Lifespan di David Sinclair: “Non riesco proprio a immaginare di dover vivere con mio marito ancora più a lungo di quanto già sia costretta a fare” (corsivo mio).
Io non riesco proprio a immaginare come si possano solo formulare pensieri del genere. Queste persone vedono la vita come costrizione e sacrificio da ogni punto di vista: doversi sposare, dover rimanere con la stessa persona anche se non ci si sta bene, non poter cambiare niente… E, quindi, preferiscono morire piuttosto che continuare a fare una vita che non sopportano. Ma questo dipende dal fatto che si sta conducendo una vita di sofferenza, quindi il problema è la mancanza di qualità di vita. La vita non deve essere un sacrificio, ma una esperienza piacevole.
Invece ci sono persone, forse soprattutto quelle più creative, curiose e fortunate, che non hanno mai provato noia. Certamente non siamo tutti uguali, ma con tempo sufficiente, se si è integri e in salute, qualcosa di interessante da fare, si trova. Poi ovvio, nessuno deve essere obbligato, né a morire, né a vivere. È proprio per questo che nasce la ricerca sul mantenimento della salute, per dare almeno la possibilità, a chi lo desidera, di evitare che il corpo diventi una prigione e una trappola mortale, che distrugge le cose più importanti (salute, libertà, tempo).
Per una dissertazione filosofica molto approfondita sull’etica dell’estensione della vita, anche in relazione al tema del significato e della noia, si veda https://researchoutput.csu.edu.au/en/publications/how-long-ought-we-to-live-the-ethics-of-life-extension-3.
La cura dell’invecchiamento sarebbe solo per ricchi?
Che sia un salto alle conclusioni? Esatto. Intanto iniziamo a fare in modo che ce l’abbia almeno qualcuno, altrimenti non ce l’avrà mai nessuno. Tra l’altro ci vorrà tempo e i primi tentativi saranno più rischiosi. Poi la tecnologia migliora e i costi diminuiscono. Vedi Will Life Extension Be Only for the Rich? | LifeXtenShow.
E i dittatori?
Di nuovo, si veda questa brevissima, minimale clip.
In effetti, condannare tutto il mondo a decenni di sofferenza e morte per liberarsi di alcuni eventuali dittatori o perché non ci piace Berlusconi (nemmeno a me piace, ma non per questo desidero la sua morte o preferisco morire piuttosto che sapere che è in vita) è senz’altro la migliore soluzione possibile… 🥲
Curare l’invecchiamento sarebbe egoistico?
Traduzione: fare sì che la gente possa sperare di mantenere la salute e stare bene senza essere condannata a deperimento e morte sarebbe egoistico? 🤔 E invece costringere gli altri a perdere la salute e la vita senza il loro consenso come lo vogliamo chiamare? Carineria? Gentilezza? Amore?
Siamo all’apice della confusione. Comunque è stato fatto un articolo, sicuramente più di uno, anche per spiegare questo enorme fraintendimento. Volersi bene, tenere alla propria salute e a quella dei propri cari è sacrosanto. Semmai sarà immorale desiderare che altri perdano la salute e la vita contro la propria volontà. Vedi aspetti etici del ringiovanimento e ell’estensione della vita.

E le pensioni? Che ne pensa l’INPS? “Spero proprio di invecchiare e non vivere a lungo: io voglio andare in pensione”
Praticamente troverete questo commento, anche ripetuto da più persone, su ogni post o articolo che parla di fermare l’invecchiamento o ringiovanimento. Surreale.
Non ci credete? Un post in cui troverete l’obiezione della pensione (insieme ad altre) svariate volte: https://www.facebook.com/focus.it/posts/pfbid0224H5A71XRTbNprv4UALmPWddqpFYzua9swAnjSm5QuS1aZfQHnTLvx7PFBgnbkRpl. Ma anche qui.
Qui si tratta di non capire le priorità dei problemi, le gerarchie tra le cose, i sensi, gli scopi.
Il lavoro è un mezzo per sopravvivere. Dato che molti scrivono che non vogliono vivere in eterno perché desiderano la pensione, cioè guadagnare senza lavorare, se ne deduce che molti preferiscono morire piuttosto che lavorare. Poi però sentiamo anche dire “i giovani non hanno voglia di lavorare” e che molti se non lavorassero si annoierebbero. Idee poco chiare? Diversità?
Poi alcuni, invece che preoccuparsi della morte dei propri cari, si preoccupano della morte dell’INPS: “Cosa ne pensa l’INPS?”.
Il sistema delle pensioni esiste perché si invecchia, cioè si deperisce fino alla morte. Ma non è una soluzione al problema di fondo, è un “workaround”. Se non si invecchiasse, il sistema delle pensioni non avrebbe motivo di esistere, per lo meno per come è ora. Il problema è la perdita della salute delle persone dato che causa grave sofferenza, non la perdita del sistema che serve a tamponare la perdita di salute. Come dire: “Sta per arrivare la biotecnologia che previene il cancro”. “Oh, no! Che ne pensano gli oncologi?”. Surreale.
Vedi anche il video Will Life Extension Kill the Pension System? | LifeXtenShow. Tra l’altro questa obiezione contraddice l’altra che “tutto muore” e senza la morte non si potrebbe evolvere. Stranamente però il sistema delle pensioni dovrebbe non morire mai! Se ci fate caso, si predica sempre la morte di persone o esseri viventi, mai la morte di oggetti o strutture create dall’uomo e che esistono da un po’ di tempo (paradossi su paradossi).
Non invecchiare vorrebbe dire lavorare per sempre?
Tenendo presente che la salute è la cosa più importante, sarebbe meglio invecchiare, perdere resilienza, salute, varie capacità, affetti, e crepare piuttosto che essere giovani, in salute, e poter anche lavorare? Ah ok, ognuno ha i suoi gusti…
A parte questo, alla base di questo tipo di salto alle conclusioni c’è una visione della vita statica, che non coglie il fatto che le cose cambiano da sempre, e non vede i trend in atto. Con l’evoluzione dell’automazione, della robotica e dell’intelligenza artificiale, i lavori più usuranti e spiacevoli diminuiranno sempre più, e già si sta andando verso una riduzione degli orari di lavoro a parità di stipendio (vedi la settimana lavorativa di quattro giorni), quindi una maggiore attenzione alla felicità del lavoratore e della alla sua vita privata, per ridurre lo stress e migliorare la qualità della vita.

Nel lungo termine, con l’evoluzione della tecnologia, dell’etica e della consapevolezza, il concetto di lavoro potrebbe cambiare moltissimo, al punto che potrebbe non essere più necessario dover lavorare diverse ore al giorno, o addirittura proprio lavorare per sopravvivere (vedi Universal Basic Income). È comunque certo che il lavoro non rimarrà per sempre come oggi lo conosciamo. In generale, uno degli errori classici è proiettare il presente nel futuro, cioè pensare che tutto rimanga uguale e non ci siano cambiamenti sostanziali in futuro.
Una cosa interessante di questa obiezione è che smaschera la retorica del tipo “I giovani non hanno voglia di lavorare” o che il lavoro darebbe senso alla vita! Per quale mistica motivazione i giovani dovrebbero aver “voglia di lavorare” se molta gente addirittura si mostra ostile all’estensione della vita perché preferisce morire piuttosto che lavorare? Non so se ce ne rendiamo conto. Se addirittura si preferisce morire piuttosto che lavorare, forse si dovrebbe capire che la gente non nasce con la voglia, né con lo scopo di lavorare, dato che in generale lavoro non è uno scopo ultimo, ma un mezzo per sopravvivere e fare ciò che ci piace (il sopravvivere non è lo scopo ultimo, ma è la base per fare qualsiasi altra cosa).
E il ricambio generazionale?
Ecco una questione etica estremamente interessante. Il problema etico in realtà riguarda la situazione preesistente e attuale, cioè considerare le nascite a scopo egoistico-utilitaristico, per creare manodopera (vedi ad esempio https://tg24.sky.it/salute-e-benessere/2023/03/07/tasso-natalita-italia-sistema-sanitario), e poi, come se non bastasse, condannare tutte le persone, che non hanno chiesto di nascere, a perdere la salute e a morte contro la loro volontà. Oltre al danno la beffa, ovvero, non si riconosce il diritto alla vita, e le persone che tengono alla propria vita a prescindere dall’età, vengono giudicate squilibrate, narcisistiche, folli, insane, ecc. Questa è la doppia forma di violenza che si ha, ancora, in vari ambiti di questo mondo in cui si gettano le persone.
Data l’importanza del tema, c’è un intero articolo sul problema del ricambio generazionale:
Comunque, muoiono circa 150 mila persone al giorno. Eliminare l’invecchiamento ne salverebbe solo circa 100,000, ma ne morirebbero comunque 50,000 ogni giorno, finché tutto il resto rimane invariato. Chiaramente ci sono altri problemi da risolvere, l’invecchiamento è un enorme problema, ma non è l’unico.

Tutto ha un inizio e una fine?
Innanzitutto bisogna ripetere ogni volta che curare l’invecchiamento non equivale ad eliminare la possibilità di morire (anche se equivale ad eliminare la principale causa di morte attuale) quindi questa è un’obiezione che deriva dal confondere giovinezza con immortalità.
A parte questo, “tutto ha un inizio e una fine” è una frase che si è diffusa molto, ma rimane un mito, una credenza popolare non dimostrata che deriva da una generalizzazione da esempi, piena di problemi e contraddizioni. Per esempio, dato che tutto dovrebbe aver avuto un inizio, questo implicherebbe che anche l’universo debba aver avuto un inizio, e che quindi sia nato dal nulla (inteso come assolutamente nulla), il che è impossibile, perché l’assolutamente nulla (che non può nemmeno esistere per definizione) non avrebbe nemmeno alcun processo e alcuna causa da cui far scaturire l’origine dell’universo. La creazione dal nulla, così come la fine di tutto, violerebbe anche i principi di conservazione dell’energia — se nulla si crea e nulla si distrugge, allora nemmeno l’universo si crea e si distrugge, ma deve esistere da sempre e per sempre (questo a prescindere dalla presenza della vita). Le leggi fisiche attuali implicano l’eternità dell’universo e quindi contraddicono la retorica del “tutto muore”.
Inoltre, una legge di questo tipo comporterebbe che questa stessa legge a un certo punto non dovrebbe essere più vera, dato che, se fosse vera, dovrebbe avere pure lei stessa una fine. Quindi è una legge autocontraddittoria, cioè impossibile. Questo ne implica la falsità.
Tra l’altro, se per assurdo fosse vera — ma come abbiamo visto ciò porta a contraddizione —, allora dovrebbe prevedere anche la fine dell’invecchiamento, dato che, se proprio tutto ha una fine, allora prima o poi anche l’insieme dei sistemi e processi fisici che fanno sì che l’uomo invecchi dovrebbe avere una fine.
La brevità della vita è ciò che la rende preziosa?
Alcuni dicono che è la brevità della vita che rende la vita preziosa. Questo argomento, che sembra profondo ma appare estremamente superficiale ad un’attenta analisi, perde di vista il senso: la vita non deve essere preziosa, deve essere bella, piacevole, soddisfacente, appagante. La vita deve avere senso per noi, non soddisfare un qualche criterio esterno di preziosità economica stabilito da altri. Il desiderio fondamentale è quello di stare bene con le persone che si amano (tante, poche, o una sola), e questo è in totale conflitto con la perdita di salute e l’essere condannati a morte.
Ci sono infatti vari errori logici nell’argomento della preziosità.
- Si presuppone arbitrariamente che lo scopo ultimo della vita di ognuno coincida con la preziosità, ma è una premessa non dimostrata (petitio principii).
- Non si chiarisce il concetto di preziosità, ma, come detto, lo si sta implicitamente accostando con quello di significatività o di scopo. Questo non è evidente. Forse si assume che un certo concetto di preziosità in ambito economico si possa applicare alla totalità della vita (fallacia di pertinenza e ulteriore petizione di principio). Peccato anche che la vita non si possa vendere.
- Anche volendo concedere che la brevità aumenti la preziosità, sarebbe un totale nonsense poi perdere definitivamente qualcosa di massimamente prezioso.
Altre problematicità:
- Ignorare la salute: si ignora completamente che ciò che rende breve la vita lo fa perché causa danni alla salute (vedere definizione di invecchiamento e geroscienza).
- Ignorare la diversità: decidere cosa rende preziosa la vita di un altro è come minimo presuntuoso e non ha senso, dato che ognuno ha la propria sensibilità, i propri desideri, il proprio vissuto.
- Ci sono tutta una serie di considerazioni neurobiologiche, psicologiche ed evoluzionistiche che mostrano come non percepire una prospettiva futura non sia, eufemisticamente, un toccasana per la felicità e il benessere (vedi l’articolo dedicato: “Morte e motivazione“).
- Un’altro problema che si può rilevare è come, in questo tipo di argomentazione, ci si focalizzi esclusivamente sulla quantità, sulla durata, mentre scompaia completamente l’attenzione sulla qualità della vita, che è quella che conta per stabilire il valore di qualcosa. La qualità della vita dipende dallo stare bene e dal fare ciò che fa stare bene (e ciò che uccide, tendenzialmente non fa stare bene). Se ci fosse un oggetto rarissimo e che dura pochissimo, ma nel poco tempo che dura crea nausea, cancro, morte e distruzione, non sarebbe una meraviglia solo perché raro o di breve durata. Le alluvioni, come quella che ha colpito l’Emilia Romagna nel 2023, sono piuttosto rare e durano poco. Non per questo sono preziose o desiderabili.
- Presupporre la necessità della massima preziosità: anche nell’ipotesi (altamente problematica) che la brevità della vita la renda più preziosa, perché si presuppone che non ci si possa accontentare di una vita non preziosa in modo estremo?
ESEMPIO CONFUTATORIO: Secondo questa argomentazione, un ultimo abbraccio dovrebbe essere un momento super-prezioso, carico di valore, eppure è ritenuta una delle cose più brutte, tristi, da vivere. Lo vediamo molto spesso quando si parla della morte del proprio cane, o di persone care (“L’ultimo abbraccio è la sensazione peggiore che tu possa vivere”. Parole che scavano l’anima e che non possono non lasciare tracce emotive indelebili, quelle scritte dal proprietario di un cane che ha appena accompagnato il suo adorato cane sul ponte dell’arcobaleno). I lutti causano tristezza, infelicità, attacchi panico, paura, depressione, ovvero le cose diametralmente opposte alla felicità, che è, per definizione, la situazione desiderata, in cui si vuole essere, che è fatta di cose piacevoli.
L’UNICITÀ implica già preziosità al top: Avete mai calcolato quante combinazioni di DNA umano sono possibili? Provate: basta fare 4 elevato alla 3 miliardi…. Buona fortuna! WolframAlpha arriva fino a 4 elevato alla 300 milioni, mentre 4 alla 3 miliardi risponde che non capisce neanche il numero. 4^3000 è un numero con 1807 cifre, 4^300 milioni è un numero con 180 milioni di cifre… quindi 4 alla 3 miliardi (4^(3*10^9)) sarebbe un NUMERO CON PIÙ DI UN MILIARDO DI CIFRE. Pensate che il numero di atomi nell’universo è un numero con 80 cifre… (si noti comunque che la maggior parte di queste combinazioni di DNA sarebbero incompatibili con la vita).
Ma per cercare di capire quanto siamo unici non basta questo: bisogna anche calcolare le modificazioni epigenetiche, la neurodiversità (che è il concetto di biodiversità individuale applicato al cervello), e le esperienze di vita che modificano i ricordi. Insomma, per quanto riguarda la preziosità, essendo ogni essere umano assolutamente unico, sia geneticamente sia epigeneticamente, che per esperienze e traiettoria di vita, è già al massimo della preziosità, senza bisogno di farlo durare poco. La questione della biodiversità e neurodiversità non è uno scherzo, siamo veramente tutti molto diversi gli uni dagli altri, tutti con diverse sensibilità, esigenze, tempi, interessi. Ma, tendenzialmente, tutti vogliono stare bene e in salute ed essere felici, e nessuno ha il desiderio di essere infelice (cioè di trovarsi in una condizione che non desidera).
Per approfondire il tema generale, dal punto di vista logico e scientifico, vedi Morte e motivazione.
E il presunto valore della finitezza?
TL;DR: Chi sostiene il valore della finitezza sta, tendenzialmente, presupponendo che la vita debba durare solo pochi decenni per avere “valore”. Tuttavia, si sta ignorando che esistono infinite durate di vita drasticamente più lunghe di quella attuale, ma molto diverse tra loro, che avrebbero comunque durate finite. Inoltre, ci sono altri innumerevoli aspetti della vita, oltre alla durata temporale, caratterizzati da finitezza. Inoltre, si sta, al solito ignorando la qualità.
A volte si leggono affermazioni sull’importanza della finitezza/finitudine, sempre molto vaghe e retoriche, e, come vedremo, inconsistenti e davvero superficiali, non basate su logica e riflessione profonda. Sembrano frasi tramandate a memoria, e che probabilmente applicano impropriamente un eventuale senso che la finitezza potrebbe avere in un certo altro contesto (ne parlo un po’ in questo articolo).
Questo argomento è simile al precedente sulla brevità, ma è più generale nella sua formulazione, quindi qui ci concentriamo nell’aspetto più generale della finitezza piuttosto che in quello della brevità.
Nel merito, come mai si presuppone la coincidenza tra il concetto di finitezza e quello di limite temporale? Non ci si è accorti che l’uomo ha innumerevoli altre forme di finitezza e limite, e che quindi, anche nel caso in cui la vita durasse drasticamente più di 100 anni, tipo 300 mila, ciò non vorrebbe assolutamente dire che non esisterebbe più la finitezza?
Tutte le dimensioni che ci caratterizzano, altezza, peso, massa, velocità, sensi, pensieri, funzioni fisiologiche, eccetera, sono finite, non sono infinite, indipendentemente dalla durata della vita. In altre parole, non c’è alcun bisogno di danneggiare fino alla morte la gente, per avere la finitezza. Una persona che vivesse migliaia di anni perché rimane in salute, avrebbe comunque innumerevoli limiti, sia intrinseci alla nostra costituzione fisica, sia dovuti al fatto che esistono altri individui e va rispettata la libertà e salute altrui. Anche quando avremmo raggiunto la senescenza trascurabile, non saremmo né invulnerabili, né, tantomeno, onnipotenti, onniscenti o degli dei! Non mi pare difficile da capire.
Per di più, qualsiasi età raggiunta, anche di milioni di anni, sarebbe comunque un’età finita, limitata. Anche l’età attuale della Terra, di qualche miliardo di anni, è un’età finita, di durata risibile rispetto all’infinito o a numeri finiti estremamente maggiori. Non è certo infinita.
Recap: anche se rimanessimo sempre giovani saremmo limitati, mortali, non onniscenti, non onnipotenti, non dei (parlo di questa cosa perché si sente spesso parlare di “onnipotenza” o “giocare a fare Dio”). Diciamo che sarebbe un minimo sindacale di vivibilità rispetto all’olocausto attuale del declino della salute che genera svariati gravi problemi e malattie fa 100 mila morti al giorno. Non mi pare di pretendere la luna, ma almeno la salute.
Le cose si apprezzano solo quando si perdono?
Questa è una credenza popolare purtroppo estremamente diffusa, ma non regge ad un’analisi logica delle evidenze. Anche tu scommetto apprezzavi il piacere del cibo, della musica, dell’amicizia, del gioco o dell’amore già dalle prime volte, giusto per fare degli esempi, quindi senza alcun bisogno di averli persi.
Già abbiamo finito. Il punto è che se si trovano esempi che negano una certa affermazione, come in questo caso, l’affermazione è falsa (cosa significhi negare un’affermazione è alla base della logica).
Non è che ho bisogno di essere soffocato per apprezzare l’aria che respiro. Semplicemente l’aria è un elemento fondamentale sul quale posso costruire sopra molte altre cose, tra cui passare dei momenti piacevoli con le persone che amo. Tutto ciò non necessita di apprezzare esplicitamente il fatto di respirare. Possiamo fare altri esempi: dobbiamo forse diventare torce umane per apprezzare il fatto di non avere una pelle non ustionata? Direi di no. Le carezze si apprezzano perfettamente lo stesso (e non per forza, dipende da chi è la persona e in quale circostanza).
Tra l’altro, anche nel caso della giovinezza, è veramente clamorosa la conseguenza di tale mito (“le cose si apprezzano solo quando si perdono”), perché questo vorrebbe dire che nessuno ha mai apprezzato la giovinezza dall’inizio della storia dell’uomo, dato che, una volta persa, non è più tornata. Ma non solo, vorrebbe dire che nessuno ha mai potuto apprezzare nulla mentre lo viveva. In sostanza non sarebbe proprio mai possibile l’apprezzamento. Vedete l’assurdità? Questo perché si ignora la base biologica dell’apprezzamento, che è il sistema della ricompensa, il quale non è certo basato sulla perdita definitiva, anzi, è semmai tutto orientato ad evitarla e rifiutarla. Approfondisci.
Se poi si intende questo argomento in modo debole, ovvero che non è richiesta la perdita definitiva per apprezzare qualcosa, ma anche una perdita temporanea sarebbe sufficiente, be’, allora non è più un argomento che può dimostrare la presunta necessità della morte o dell’invecchiamento irreversibili, per rendere apprezzabili le cose.
Noi, peraltro, rispetto ad altri animali, abbiamo la “feature” di poterci ad esempio impaurire in caso di semplici racconti di altre persone, senza dover per forza vivere personalmente l’esperienza. Questo, un po’ come l’empatia, può migliorare la possibilità di immedesimazione in un problema, per meglio prevenirlo.
Invecchiare è un privilegio?

“Invecchiare è un privilegio” è la tipica risposta data a chi dice che invecchiare fa schifo, come se il fatto che una cosa sia un privilegio coincida che sia una cosa buona, mentre significa soltanto che è migliore rispetto ad una alternativa peggiore, o considerata peggiore.
Analisi logica: il fatto che una cosa sia meglio di un’altra, non implica in automatico che la cosa migliore sia sufficientemente buona. Dimostrazione: prendete due tipi di condanna a morte di cui una molto più dolorosa e agonizzante. Chi avrà la morte meno dolorosa sarà privilegiato rispetto all’altro, ma si tratta comunque di un condannato a morte, invece che di una persona libera e sana. Nel caso in cui uno muoia dopo un altro, il problema è solo rimandato, ma non è risolto.
Poi c’è un altro punto: moltissimi credono che l’unica alternativa all’invecchiamento sia morire giovani (ad es. vedi questo clip). Questo è proprio un errore logico, dovuto a un bias legato alla situazione contingente dell’evoluzione umana. Invecchiare significa accumulare danni, quindi l’alternativa vera sarebbe non accumulare danni, cioè vivere rimanendo biologicamente giovani. Cosa che è teoricamente possibile, e già avviene in natura (alcuni gruppi di organismi e alcuni livelli di organizzazione biologica di varia complessità). Invece si crede che l’alternativa al danno estremo (della morte) sia danneggiarsi lentamente, cosa che poi però porta proprio alla morte, quella che si crede di evitare invecchiando. È essenzialmente la stessa cosa, un rimandare il problema che ha lo stesso risultato (perdita di struttura, funzione, identità e infine morte) ma con un diverso pattern spazio-temporale. Certo, vivere un po’ di più è diverso da vivere un po’ di meno, e l’allungamento della vita media viene celebrato come una conquista. Ma la qualità della vita non viene mantenuta, se si invecchia. Ecco da cosa nasce la ricerca sul ringiovanimento e sul mantenimento della giovinezza.
Non viviamo già abbastanza? Chi vuole vivere per sempre?
La domanda giusta sarebbe: se sto bene, perché dovrei voler morire oggi o un qualsiasi altro giorno del mio presente?
Alcuni sostengono che viviamo già abbastanza a lungo. Ma ha senso questa domanda? Abbastanza rispetto a cosa? E rispetto a chi? Siamo poi forse tutti uguali rispetto al modo di essere, agli interessi, ai desideri, alla complessità di pensiero, alle priorità filosofiche? Ovviamente no.
Ognuno, in ogni presente, ha bisogno di benessere, tempo e salute.
Rimasi stupito quando, sotto un articolo di estensione della vita, c’era un commento che diceva: “Occorre vivere così a lungo?”. Come se il vivere fosse un dovere, o ci fosse un numero predefinito e finito di doveri da compiere, stile lista della spesa, per i quali dovrebbero bastare un certo numero di anni. Come se non esistesse un presente continuo in cui uno potrebbe avere voglia di vivere, potrebbe amare la vita, come se si dovesse vivere per svolgere dei doveri per conto terzi (il che sarebbe anti-etico).
Amare, avere un sogno di felicità, non ha mai una fine
Jane Fonda
Esistono persone, non tutte, che desiderano continuare a vivere anche se sono molto vecchie. Se non si invecchiasse fisicamente e mentalmente (tema di cui stiamo parlando), ci sarebbe ancora più voglia di continuare a vivere. In generale il voler continuare a vivere o no dipende dalle condizioni in cui si è ed in cui è il mondo. Questo emerge da tutte le testimonianze e torna con le scienze biologiche.
Nota bene: non esiste il “vivere per sempre”. Per quanti anni o secoli si possa aver vissuto, cento, mille, un milione, cento miliardi, si sarà sempre vissuto un numero finito di anni, e mancheranno sempre infiniti anni al “per sempre”. L’infinito è un concetto astratto, non è un numero, quindi nessuno potrà mai dire “Ce l’ho fatta a vivere per sempre!”. Qualcuno ha scritto: “Riuscirò a non morire mai?”, ma non ha molto senso… uno può solo dire “Finora non sono morto”. Non c’è modo di raggiungere il per sempre, per sua stessa natura. Ci sarà sempre un domani, se si parla di tempo infinito.
Quello che si potrebbe fare, se si riuscisse a non invecchiare, sarebbe poter scegliere, nel presente, se continuare a vivere, in salute. Infatti tutta questa tiritera sull’estensione della vita serve alla fine per dare salute, tempo, e un minimo di libertà, che mi pare siano valori per cui lottare. Ovviamente, fino a che si è costretti ad invecchiare e a morire non si può parlare di libertà. Si è nella costrizione (violenta).
Detto questo, il desiderio di vivere “per sempre”, o meglio non volere a priori una data di scadenza, deriva da una semplice considerazione:
- Oggi, nel presente, voglio vivere e stare bene? Sì.
- Vai a domani e vedi punto 1
(Curioso che uno sviluppatore software mi disse che ‘L’infinito si implementa con un while“)
Per quale motivo questo desiderare di vivere e bene a un certo punto dovrebbe cambiare, se si è in salute e le cose vanno bene? Per chi ama la retorica del presente, del “qui e ora”, sappia che sarà sempre il presente, quindi pensare di desiderare una vita limitata a qualche decennio implica pensare che, a un certo punto, non si voglia dare più valore al presente, e si voglia morire. Una specie di discriminazione dei presenti, i presenti di serie A e i presenti di serie B.
È chiaro che la maggior parte delle persone pensa che in futuro vorrà levarsi di torno perché si immagina vecchio e decrepito. Il punto è che dipende dalle condizioni in cui si è, indipendentemente da quanti anni si hanno. Quindi se uno rimane in perfetta forma — cioè strutturalmente, biologicamente, fisicamente, mentalmente sta bene — nel presente vuole vivere. E lo scopo della ricerca per il mantenimento della salute giovanile serve a rendere possibile questo. Se puoi uno vuole morire ok, ma non ci deve essere costrizione, ovviamente, in nessuno dei due sensi, dato che ci interessa la libertà.

Obiezioni e affermazioni riguardanti la morte e la mortalità
Quando si parla di ringiovanimento, lotta all’invecchiamento, estensione della vita, immancabilmente compaiono affermazioni sulla mortalità, come se una persona che potesse rimanere biologicamente giovane a prescindere dal calendario, cioè che non invecchiasse fisicamente e mentalmente, diventasse magicamente anche immortale, nel senso di invulnerabile. È interessante constatare la frequenza di questo fraintendimento, che va rimarcato e spiegato, ma senza per questo giudicare male gli interlocutori, dato che tutti abbiamo dei bias, soprattutto su argomenti su cui non siamo esperti. Inoltre la questione è molto sottile, perché “non invecchiare nonostante il passare del tempo”, a seconda di quanto letteralmente lo si interpreta, potrebbe effettivamente voler dire rimanere sempre integri e quindi sempre vivi. Ma questo dal punto di vista semantico, non perché si è invulnerabili.
Infine, dato che la morte è un argomento complesso e importante, e non è comunque scollegata dal concetto di salute e sofferenza, affrontiamo anche queste obiezioni, ricordando però sempre che non sono strettamente pertinenti al concetto di “eterna giovinezza”.
La morte dà senso alla vita?
Un classico cliché che sta “invecchiando male”. Si ricordi intanto che risolvere l’invecchiamento non eliminerebbe la morte in assoluto. Si potrebbe comunque morire, quindi non è un’obiezione pertinente per quanto riguarda la ricerca scientifica anti-invecchiamento. Il desiderio di morire, comunque si può accontentare molto facilmente, rispetto a quello del rimanere in salute, che è la cosa che invece ad oggi manca e stiamo cercando di raggiungere — proprio perché ciò che dà senso alla vita, solitamente è il contrario della morte, ovvero è la bellezza, la salute, la vitalità. Distruggere è molto più facile che costruire. D’altra parte, nessuna forma di vita “nasce imparata”, e infatti ci vuole tempo e spazio per costruire intelligenza e resilienza.
Notare che imporre quale sia il senso della vita di altre persone, e addirittura pretendere che sia la morte, è una forma di violenza psicologica. Una delle forme di violenza purtroppo non ancora riconosciute.
La morte è terribile. Ogni morte è una tragedia. Sarei felice senza riserve se ce ne fosse meno. Non voglio morire e non voglio che la mia famiglia, i miei amici o chiunque altro debba farlo prima di quanto sia assolutamente necessario. Sono scioccato da quanto questa opinione sembri controversa. Quando una persona muore, la sua personalità, le sue relazioni, la sua conoscenza e la sua saggezza muoiono con lei. È una perdita tragica per la famiglia, gli amici e la comunità che lascia. Dobbiamo riconoscere e accettare il fenomeno della morte, ma non è necessario distorcere la logica e le emozioni e fingere che sia una cosa positiva. Raramente le persone sembrano fare questo ragionamento nel contesto della guerra, degli incidenti d’auto, delle cure per il cancro o di qualsiasi morte individuale (“Sono così felice che sia morta – ha dato un senso alla sua vita”); ma molte persone sembrano difendere la morte quando si parla di invecchiamento.
Andrew Steele, PhD, biologo dell’invecchiamento
Per approfondimenti su questo tema, vedere:
- Aspetti etici del ringiovanimento e dell’estensione della vita
- Morte e motivazione. Confutazione radicale di alcune argomentazioni comuni
- Bunn, A. (2015). How Long Ought We To Live: The Ethics of Life Extension.
Un bel video su questo tema (in inglese):
Vivere per sempre sarebbe una condanna?
Prima di saltare a conclusioni affrettate riflettiamoci bene. In generale dipenderà dalle condizioni di vita, dalla sua qualità, dato che è quella che conta. Se la sofferenza è risolvibile o no, e se la felicità è raggiungibile e mantenibile. L’andamento della salute in questo discorso è rilevante, dato che la malattia è associata, causativamente, a infelicità. [6]
Bisogna poi capire i concetti di “condanna”, e di “per sempre”.
Partiamo da quello di condanna. Secondo la Treccani:
“In usi estens., nei quali a volte si conserva il concetto della pena corrispondente a una colpa, altre volte invece prevale quello della imposizione, della coazione a un modo di vita faticoso, penoso, o comunque non liberamente accettato e perciò dolorosamente sofferto“.
Il concetto chiave per parlare di condanna è quindi il concetto di dolore, sofferenza: essere costretti a soffrire per lungo tempo. Trovarsi in una situazione non desiderata, non piacevole. Come sempre, in etica abbiamo a che fare con piacere e sofferenza, ovvero situazioni desiderabili versus non desiderabili, volute o non volute.
In genere si rileva come le persone che abbiano una vita piacevole, vogliono che continui. Viceversa, chi ha una vita di sofferenza, o anche solo assenza di piacere, vuole che la sofferenza finisca — la sofferenza, non la vita. Molti però vedono solo la fine della vita come unico modo di far finire la sofferenza. In passato non capivo affatto questa cosa, ora la capisco, dato che esistono condizioni che non si possono risolvere o che addirittura peggiorano. Una di queste, al momento attuale, è proprio l’invecchiamento. Oppure qualsiasi altra condizione irreversibile o degenerativa. Ecco il nucleo del problema. Il senso della ricerca in medicina rigenerativa è proprio risolvere tutti questi problemi.
Le persone hanno imparato che andando avanti (a parte i primi decenni), invecchiando, è sempre più difficile recuperare e cambiare le cose, oltre al fatto che si va a perdere la salute e la vita. E per questo a un certo punto preferiscono non dover sopportare ulteriormente, nel caso siano lontane da una situazione di benessere.
Ma attenzione! Questo dipende sempre da una perdita di salute irrisolvibile. Se invece la salute fosse sempre al massimo, o molto buona, ogni brutta situazione sarebbe col tempo recuperabile! Tradotto: uno può essere infelice anche se è in salute, ma avrebbe la possibilità di tornare ad essere felice in futuro. Se invece è infelice e ha un cancro terminale o una condizione degenerativa (si noti. che anche l’invecchiamento lo è), la condizione non presenta vie di uscita. Ed è per questo che si dice che la salute è la cosa più importante. Questa sulla reversibilità è una riflessione che personalmente è stata davvero illuminante.
Voi mi direte “Eh ma se ti muore il figlio, il compagno, l’amico, il genitore, cosa recuperi?”. Eh, infatti si noti che la morte è un caso in cui la salute di una persona è stata completamente persa, quindi non siamo nel caso in cui c’è la salute buona o ottima e le cose sono recuperabili — fermo restando che la morte di un altro è certamente una condizione più “recuperabile” della propria (intendendo la sofferenza legata all’eventuale lutto). Il problema è sempre sostanzialmente lo stesso: la perdita definitiva di integrità, fisica, biologica, fisiologica. Non solo di sé stessi. Tutto questo sito, così come la medicina rigenerativa, si riferisce a questo problema e alla sua soluzione.
L’immortalità è una fissazione dei miliardari?
Questo cliché sui ricchi dimentica alcuni concetti chiave, tra cui:
- anche i non-miliardari, le persone comuni, tengono alla propria salute, dato che è alla base di tutto il resto;
- anche i non-miliardari tengono alla propria salute, quindi alla propria vita;
- anche i non-miliardari tengono alla propria salute, quindi alla propria vita, e a quelle dei propri cari;
- in qualsiasi momento un individuo è sano, deve essere vivo [4]: cioè voler essere in salute implica voler essere vivi, quindi non voler morire; si vuole sempre stare bene, quindi non si vuole morire mai;
- bias di selezione: l’associazione miliardario-estensione della vita non implica che solo i miliardari vogliono vivere più a lungo. Semplicemente noi vediamo questa associazione perché solo loro possono permettersi grandi investimenti e quindi solo loro fanno notizia. Non fanno ovviamente notizia tutti quelli, che sono moltissimi di più, che non investono in questo campo anche se vorrebbero, ma semplicemente non possono!
“La morte fa parte della vita”….!
Obiezione non pertinente se si parla di anti-aging, dato che giovinezza biologica non vuol dire immortalità.
A parte l’appello alla natura implicito, è una frase comunque molto vaga, e che presume di conoscere tutto del complesso fenomeno della vita nei suoi potenziali sviluppi, cosa che nemmeno i biologi, quelli che studiano la vita di mestiere, si sognano. Dato che non si sa nemmeno bene cosa sia la vita, non si può pensare di sentenziare cose di questo tipo. Di sicuro non è scientifico.
Domanda chiave: “morte” e “vita” a quale livello di organizzazione biologica? Punto cruciale che viene completamente ignorato. Se la morte deve fare sempre parte della vita a tutti i livelli, allora anche la morte della specie umana, che è un livello di organizzazione superiore all’individuo, non dovrebbe fare eccezione. Invece pare che di questo livello di organizzazione, la morte non faccia parte e non debba far parte, e si vogliano tutelare le varie specie dall’estinzione. Come mai? Si tratta di sistemi biologici aperti come gli individui. Anzi gli individui a loro volta sono composti di tanti sotto-individui (vedi microbiota). Come mai la morte dovrebbe fare parte di alcuni livelli e non di altri?
Perché, dal punto di vista etico, si dovrebbe tutelare solo il livello della specie e non il livello di individuo? Perché “il mainstream” si preoccupa dell’eventuale morte della specie e non di quella degli individui? Nessuno sa rispondere a questa obiezione in modo fondato, e nemmeno la vede, la ignora completamente.
Semmai si può dire che la morte, a certi livelli, ha fatto parte e fa attualmente parte dell’evoluzione biologica sulla Terra, ma, in generale, il fatto che qualcosa esista e/o sia sempre esistito (come la violenza o il cancro) non implica che debba continuare ad esistere, o che debba continuare ad esistere nella stessa misura, frequenza, distribuzione. Un salto alle conclusioni di questo tipo è invalido (la legge di Hume distingue descrizioni da prescrizioni). In questo caso, oltre alla vita, si presume di sapere come funziona l’evoluzione, la cui teoria è una delle più fraintese in assoluto [3], e di prevedere il futuro.
Tra l’altro il grande fisico Feynman aveva già rilevato la non necessità biologica della morte.

Senza la morte non ci sarebbe la vita?
Obiezione molto simile alla precedente.
TL;DR:
- obiezione non pertinente, dato che non si sta parlando di immortalità (solito problema);
- confutazione logica per assurdo basata sull’abiogenesi: se tale affermazione fosse vera, la vita non avrebbe potuto mai originarsi (dato che all’inizio non c’erano esseri viventi che morivano);
- se nemmeno i biologi hanno una definizione di vita [5], saltare a conclusioni assolute su basi incerte è un errore;
- morte (e vita) a che livello di organizzazione? Cellula, organismo, popolazione, biosfera? (fallacia della vaghezza). Infatti come mai nessuno si riferisce alla morte delle specie, ma tutti si concentrano solo sulla fine del sistema individuo? Questo in realtà spiega che si stanno semplicemente ripetendo dei fatti ritenuti normali, senza nemmeno avere contezza del concetto dei livelli di organizzazione della materia vivente.
Qui in ogni caso stiamo sempre confondendo la fine dell’invecchiamento con la fine della morte, quindi l’obiezione non è pertinente, ma mostriamo comunque la sua mancanza di fondamento.
La prima cosa da rilevare è che non è ancora molto chiaro cosa sia la vita e quali siano le sue potenzialità, quindi pretendere di sparare sentenze definitive è antiscientifico. Noi stiamo osservando una finestra temporale ristretta dell’evoluzione della vita del singolo pianeta Terra.
Tale obiezione è comunque falsa. Infatti, se fosse vera, questo implicherebbe che la vita non si sarebbe mai potuta originare, dato che avrebbe richiesto la preesistenza di forme vita che morivano (dimostrazione per assurdo basata sull’abiogenesi). La vita, per perpetuarsi, semmai richiede la vita. Infatti, gli animali non nascono da organismi morti o che stanno morendo, ma da cellule vive di organismi vivi e fertili, biologicamente giovani.
Certo, alcuni organismi si nutrono di organismi morti o ne uccidono altri per nutrirsi, anche perché è una soluzione relativamente facile (la violenza e la distruzione sono soluzioni facili, e tendono ad essere utilizzate soprattutto in fasi relativamente precoci di evoluzione), ma questa non è una necessità assoluta per la vita in generale, infatti esistono organismi viventi autotrofi. Non si può affatto escludere che l’uomo, grazie all’evoluzione culturale e tecnologica, possa diventare in un certo senso autotrofo. L’empatia, così tanto valorizzata e difesa, porta anche a questo.
La morte è la migliore invenzione della vita?
Dal punto di vista termodinamico, biologico ed evoluzionistico non è affatto così. Di base si deve capire che gli stati di materia non vivente sono estremamente più probabili di quelli che caratterizzano i sistemi viventi, che devono spendere energia in modo intelligente per rimanere in vita, funzionare, e rispondere alle complesse sfide ambientali.
Il disordine pre-biotico, l’assenza di vita, la non-vita, è il punto di partenza, quindi non c’è da inventarlo, dato che si parte da lì. Sono semmai le varie forme di vita ad essere un’invenzione (dell’evoluzione), non certo la morte!
La morte è facile, le configurazioni di non-vita sono enormemente maggiori di quelle che permettono di vivere. È molto più facile distruggere che costruire o riparare, dato che costruire e riparare richiedono intelligenza e tempo. La fatica, lo sforzo viene fatto per difendersi, sopravvivere, e cercare di stare bene il più possibile, non per stare male e morire. Il senso va in una direzione ben precisa. Non avrebbe poi alcun senso che la vita abbia come scopo la morte, sennò non si sarebbe nemmeno “presa la briga” di originarsi ed evolvere (anche se questo modo di esprimersi è per comodità, ma è importante ricordare che nell’evoluzione non è necessario invocare alcun finalismo).
Poi sì, la morte può essere utilizzata dai viventi, a seconda dei casi (animali, assassini, mafia, guerre, morte cellulare programmata), anche perché è più facile e a portata di mano. La violenza è infatti certamente utilizzata in natura, soprattutto in fasi precoci quando non si hanno altri strumenti, ma bisogna capire il contesto, il livello di organizzazione (una cellula che muore equivale a una specie che muore?), l’informazione disponibile, e questo è completamente al di là della portata di chi fa tali affermazioni. Comunque, la violenza è l’ultimo rifugio degli incapaci e ignoranti, e tendenzialmente si osserva una evoluzione dalla violenza al dialogo e alla comprensione.
Senza la morte come faremmo ad evolvere?
- Errore 1: solita confusione tra giovinezza biologica e immortalità
- Errore 2: presupporre che lo scopo sia “evolvere” e non stare bene
- Errore 3: presupporre che la morte sia condizione necessaria per evolvere
- Errore 4: vaghezza nel termine evolvere.
La teoria dell’evoluzione è tra le più fraintese al mondo, purtroppo in parte anche tra i biologi, figuriamoci tra chi non ha una formazione specifica. A questo proposito segnalo un interessante paper dal titolo Thirteen misunderstandings about natural selection [3]. Molto interessante notare che, in questo articolo, per spiegare che l’uomo sta ancora evolvendo, gli autori fanno notare che, innanzitutto, non ha ancora risolto tutte le cause di malattia e morte. Non so se cogliete l’implicazione che già confuta l’obiezione di cui si sta discutendo: non solo la morte può non essere uno strumento di evoluzione, ma è un problema che l’evoluzione potrebbe risolvere. E poi aggiungono che, anche qualora l’avesse fatto, ovvero anche se non si morisse più, questo non vorrebbe dire che non ci sarebbe più selezione naturale e quindi evoluzione. In sostanza, una doppia confutazione da parte di chi si occupa di evoluzione di mestiere.
Per quanto riguarda il punto sullo scopo: evolvere è un mezzo per stare bene, ma se si fosse raggiunto uno stato di pace e benessere non ci sarebbe un vero motivo per cambiare o evolvere.
Si cambia quando si soffre, è la sofferenza ciò che spinge a cambiare. Inoltre, credere di dover sempre per forza migliorare implica credere che non andiamo mai bene (altrimenti perché si dovrebbe migliorare per forza?). Che senso ha, in generale, cambiare le cose se sta andando tutto bene? Si sta presupponendo che non ci si possa accontentare mai? Ma non erano i ricchi i cattivi perché non si accontentavano?
Certo, si potrebbe cambiare per, eventualmente, migliorare ancora di più, se lo si desidera, ma — ed è questo il punto nodale — non avrebbe senso se questo richiedesse la violenza estrema della morte di tutti, il sacrificio umano contro volontà (che nel caso dell’invecchiamento, spesso implica molti anni di deperimento e sofferenza), perché questo significa che allora, evidentemente, non stiamo ancora sufficientemente bene. A cosa e chi dovrebbe servire evolverci alla fine? A danneggiare, a fare stare male e uccidere le persone? E a chi gioverebbe? Se rimaniamo in una condizione in cui nessuno riesce nemmeno a mantenere la salute, allora non siamo nel benessere, non stiamo bene. C’è qualcosa che evidentemente non sta funzionando. La salute è proprio alla base di ogni altro bene.
Chi ce lo dice questo? I nostri sentimenti, dando un valore vero alla frase “la sofferenza insegna”, senza che rimanga solo mera retorica vuota. Se fossimo dei robot privi di sentimenti accetteremmo qualunque cosa senza sentire l’impellenza di risolvere problemi, ma la sofferenza e i sentimenti associati alla morte e spingono evidentemente in una certa direzione (vedi gli enormi investimenti nella ricerca biomedica), così come l’amore e la gioia. Senza emozioni e sentimenti, tutto sarebbe indifferente e irrilevante, invece è proprio l’esistenza delle emozioni la base della valutazione della qualità di vita. Questa non è retorica, ma è biofilosofia basata sulla neurobiologia (ed è un concetto che ho trovato anni fa anche in ricercatori in intelligenza artificiale).
La neurobiologia dell’emozione e del sentimento ci spiega in termini suggestivi, che la gioia e le sue varianti sono preferibili al dolore e agli affetti simili, e sono inoltre più favorevoli alla salute e allo sviluppo
Antonio Damasio in “Alla ricerca di Spinoza”
creativo del nostro essere. Dovremmo dunque cercare la gioia, per decisione ragionata, e senza preoccuparci di quanto stupida e poco realistica possa sembrare quella ricerca.
Senza la morte non ci sarebbe stata evoluzione, non ci sarebbe l’uomo, ecc.
Questo è vero! Ma riguarda il passato, non il possibile futuro. Infatti, se questo è un argomento del tipo “siamo arrivati fino a qui grazie a X” e ne volessimo concludere che “X è sempre necessario” si possono far notare esempi in cui questo non è vero, e che quindi falsificano l’ipotesi. Ad esempio il cordone ombelicale è fondamentale dalla nascita fino a un certo punto, ma poi non serve più, perché è stato utilizzato per costruire qualcosa che poi lo rende superfluo. La morte potrebbe essere servita, finché non emergono nuove soluzioni, per creare un sistema immunitario e un cervello sufficientemente versatili, fino a un punto in cui il cervello ha creato una tecnologia che potrebbe rendere le mutazioni casuali e il crossing-over non più necessari per rispondere alle sfide ambientali.
Non si può generalizzare da esempi per ottenere una verità assoluta su fenomeni complessi. In particolare non si può presumere che una cosa continui ad esistere perché esisteva in passato. Questo vale anche per tutte le dinamiche sociali, tipo la violenza, la mancanza di diritti umani, le guerre, eccetera. Quindi dire “è sempre stato così e sempre sarà così” è una frase fatta, ma facilmente falsificabile. Fino al 1902 l’uomo non aveva mai volato, ma dal 1903 ha iniziato a farlo. L’evoluzione non è un ciclo sempre uguale, ma è diversità e innovazione.
Non si può nemmeno dire che la “natura umana” è in un certo modo unico e prefissato, perché tale “natura”, oltre ad essere influenzata dai geni che possono cambiare e che sono già diversi per ogni persona, grazie alla plasticità cerebrale che nell’uomo è masssima, dipende molto fortemente dallo sviluppo e dall’educazione, e anche quelle evolvono. Le cose possono cambiare, appunto evolvere, a tutti i livelli, e causare transizioni maggiori.
La morte è il motore che consente alle idee nuove di farsi largo e cambiare il mondo?
Innanzitutto chiedersi: a cosa serve cambiare il mondo? Da cosa nasce la spinta a cambiare il mondo?
L’idea che la morte sia “il motore che consente alle idee nuove di farsi largo e cambiare il mondo” (testuali parole prese da un articolo di un tizio che crede di aver capito il senso della morte, e che cita Steve Jobs) e la ricerca proceda “per funerali” è grossolanamente falsa, dato che per cambiare un’idea è sufficiente la plasticità sinaptica, e la plasticità sinaptica è una normale funzione neurobiologica del cervello, quindi non richiede la morte di nessuno. Semmai, questa funzione, come altre, peggiora nel tempo a causa del deterioramento cognitivo che caratterizza l’invecchiamento cerebrale (alla base anche delle demenze e delle discinesie come il Parkinson), il quale può deteriorare anche la capacità di provare emozioni e passioni. Insomma, l’invecchiamento è un problema di salute e qualità di vita che la ricerca biomedica sta cercando di risolvere sempre meglio e con più cognizione.
Quindi, per l’uomo non è necessario morire per “evolvere”, dato che, oltre alla tecnologia, ha un cervello estremamente plastico che può imparare infinite cose finché funziona (questo non vuol dire che non abbia limiti: un pianoforte ha 88 tasti ma la musica che ci puoi suonare è infinita – cit. Novecento).
RIflessione logico-filosofica di base: ma…. poi a cosa dovrebbero servire, per curiosità, le nuove idee e a cosa dovrebbe servire cambiare il mondo? Perché si presuppone che si debba cambiare il mondo? Da dove scaturisce questo impellente bisogno? Serve a qualcosa, a qualcuno? Evidentemente c’è qualcosa che non va, se bisogna cambiarlo. La salute e la qualità della vita sono incluse nel concetto di cambiamento del mondo? Pare di sì. Questa logica, che chiude il cerchio viene sistematicamente dimenticata o ignorata da chi alla fine sostiene, senza rendersene conto, che le persone devono soffrire e perdere la salute per “cambiare il mondo”. Peccato che il cambiare il mondo includa, in primis, anche il mantenere in salute le persone, dato che la salute è il bene alla base di ogni altro bene, tra cui sogni e passioni.
E la felicità?
No, in effetti questa è un obiezione che non fa praticamente nessuno, quando si parla delle obiezioni al ringiovanimento.
“E le pensioni?”, “E la sovrappopolazione?”, “E i marò?”. Sì, queste sì… ma “E la felicità?” invece no. Del resto suonerebbe strano dire: “Se non accumulo danni fino alla morte come faccio a essere felice?”.
Quando si parla della sconfitta dell’invecchiamento, stranamente la felicità e l’amore vengono completamente dimenticati. In sostanza, sembra che le persone che fanno obiezioni all’eterna giovinezza entrino in un loop di frase fatte senza ragionare, dimenticandosi gli scopi fondamentali, che includono appunto salute e felicità. Non si riesce a tener fermi i pilastri. Essere consapevoli e comprendere significa tenere insieme più cose, senza ignorarle o dimenticarle.
La felicità vera si raggiungerà dopo “morti”? Suona un po’ strano. Chissà cosa accade dopo morti (se il morire fosse davvero esattamente lo stesso che c’è prima di nascere, allora poi ci sarebbe il nascere), ma voler escludere a priori la possibilità di stare bene — quindi almeno vivi — anche in questa unica vita di cui si ha esperienza, considerando i progressi della ricerca su vari aspetti, sembra decisamente limitante… e rischioso. Del resto non sembrano arrivare molte informazioni dai morti. Come mai questa assenza di comunicazione e questo snobismo estremo dalla cosidetta “miglior vita”?
E la salute?
Anche qui, silenzio. Quando si pone questa domanda a chi contesta la lotta all’invecchiamento, tutti dicono “Sì, è giusto cercare di rimanere in salute il più possibile“, ma molti, oltre a dimenticarsi “il più possibile”, non fanno il collegamento col fatto che morire significa perdere totalmente e definitivamente la salute. Salute e morte si escludono a vicenda, senza se e senza ma. Ma anche l’invecchiamento esclude la piena salute.
“Il più possibile” lascia aperta la porta al fatto che quando sarà possibile, sarà ritenuto giusto vivere 200 e più anni. Naturalmente c’è un po’ da lottare con l’appello alla natura, ma una volta che il nuovo “normale” diventa 200 anni o l’essere sempre in salute, queste obiezioni probabilmente spariranno e la trance pro-invecchiamento/pro-morte verrà ritenuta completamente assurda. E vedremo con orrore le condizioni di vita degenerative del passato.
Riferimenti
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