- L’etica della biologia dell’invecchiamento – Andrew Steele
- Estensione della vita, sovrappopolazione e diritto alla vita: contro l’etica letale
- Quanto dovremmo vivere: l’etica dell’estensione della vita
- Riferimenti
- Link esterni
- Argomenti correlati
Quando si arriva a parlare della possibilità di risolvere il problema dell’invecchiamento, il che implicherebbe la possibilità teorica di vivere molto più a lungo, alcuni tendono a sollevare preoccupazioni etiche.
Una buona parte delle persone lo fa perché vede solo l’aspetto di allungamento della vita, credendo che questo significhi prolungare la vecchiaia, mentre questo tipo di ricerca, al contrario, mira a mantenere la salute tipica dell’età giovanile nonostante il passare del tempo, dato che questo è il modo migliore per combattere alla radice problemi gravissimi come demenza, cancro, malattie del cuore, eccetera.
Insomma, il fraintendimento principale riguarda il fatto che molti credono che si dia valore alla quantità invece che alla qualità della vita, mentre è esattamente l’opposto. L’allungamento della vita è necessariamente una conseguenza del mantenimento della salute.
Addirittura, un divulgatore in ambito psicologico, senza informarsi adeguatamente, ha fatto un video sostenendo che questo tipo di ricerca sarebbe un aspetto del “materialismo” che vorrebbe sfuggire alla morte. In realtà è semplicemente la medicina che sta evolvendo, passando da una lotta impari contro migliaia di malattie, verso il mirare alle loro principale causa, cioè l’invecchiamento biologico: il cambio di paradigma suggerito dalla geroscienza, che è l’intersezione tra lo studio delle malattie e lo studio dell’invecchiamento. Desiderare la salute non è materialismo.
Tuttavia, altri sembrano ritenere che non sarebbe etico nemmeno mantenere le persone indefinitamente giovani e in salute, il che è paradossale, perché implica l’esistenza di persone di serie A e di serie B rispetto al diritto alla salute e alla vita, in base ad una discriminazione anagrafica (età). Quindi, secondo questa prospettiva, sarebbe etico mantenere uno status quo in cui le persone sono destinate a perdere la salute e la vita contro la loro volontà, senza avere la minima libertà di scelta in proposito. In sostanza ciò equivarrebbe a etichettare come problema etico uno scenario in cui le persone non abbiano una condanna a morte da scontare, che peraltro passa da decenni di aumento di fragilità, malattie e lutti. In sostanza si starebbe proponendo un'”etica letale”. Sulla base di cosa?

Questo grafico, in cui vediamo l’andamento dell’incidenza di alcuni tipi di malattie a seconda dell’età, fa capire bene qual è la direzione da prendere dal punto di vista etico, e perché il paradigma emergente della geroscienza punta a mantenerci – non cronologicamente, ma biologicamente – nella parte a sinistra del grafico.
Purtroppo, dato che si deve ancora uscire da trappole cognitive quali il bias dello status quo, l’appello alla natura, e dall’etica dell’obbligo, occorre “compiere energia”, o meglio fornire informazione per fare questo passo, e quindi occorre mostrare nel dettaglio perché l’estensione della vita ha senso ed è razionale. Per favorire questa consapevolezza, in questo articolo sono riportati dei cenni ad alcuni importanti autori su questo tema.
Il primo riguarda i contributi di un biologo dell’invecchiamento, che dopo il dottorato in fisica sulla crisi climatica, si è reso conto che l’invecchiamento è la maggiore sfida umanitaria del nostro tempo. In particolare dopo aver visto il grafico mostrato poco sopra, che mostra l’incidenza di alcune malattie con l’età.
Dato che l’etica è una branca della filosofia, segnalo poi il contributo di due filosofi.
Un paper accademico pubblicato sul Journal of Medical Ethics che affronta potenziali problemi etici in caso di eventuale sovrappopolazione, nel caso in cui si dovesse creare un conflitto tra diritto di vivere e diritto di riprodursi (vai alla sezione).
Una tesi di dottorato in filosofia, che smonta nel dettaglio alcune obiezioni comuni all’estensione della vita, come ad esempiio la possibile noia e la presunzione che il significato della vita sia legato alla morte (notare che già lo stesso titolo della tesi, che inizia con la parola “Quanto”/ “How long”, può già far focalizzare l’attenzione sul concetto di quantità, favorendo il fraintendimento indicato a inizio articolo). Naturalmente, essendo un lavoro di tesi di circa 180 pagine, l’abstract riportato sotto è solo una panoramica.
L’etica della biologia dell’invecchiamento – Andrew Steele
Nessuno chiederebbe a un ricercatore sul cancro se è preoccupato che la sua nuova incredibile immunoterapia possa portare a una sovrappopolazione, anche se i trattamenti per l’invecchiamento e per il cancro sono progettati per fare la stessa cosa: prolungare la vita sana delle persone. Allora perché mettiamo la ricerca sull’invecchiamento in una categoria morale completamente separata?
In Ageless, descrivo l’invecchiamento come la più grande sfida umanitaria del nostro tempo. Può sembrare strano ma, una volta che si inizia a guardare all’invecchiamento come un biologo, la conclusione sembra inevitabile. Poiché il processo di invecchiamento dà origine a terribili malattie come il cancro, le malattie cardiache e la demenza, è responsabile di oltre due terzi dei decessi a livello globale. Questi decessi sono di solito preceduti da decenni di declino, da una crescente fragilità, dalla perdita di memoria, udito, forza e vista e, ovviamente, dalla sofferenza per queste malattie. Di conseguenza, l’invecchiamento è la principale causa di sofferenza umana e, a mio avviso, dovremmo investire risorse per curarlo e persino per guarirlo.
Alcuni credono che invecchiare serva a prevenire la noia, il che è incredibile. Il commento di Andrew Steele, in questo clip, tratto dal video Getting older without getting old.
Molti immaginano che eliminare l’invecchiamento significhi eliminare la morte, dimenticandosi che anche le persone biologicamente giovani muoiono. Certamente, se si è biologicamente giovani, si è mediamente più resilienti, in forma e in salute rispetto all’anziano medio, e questo implica che le probabilità di continuare a vivere sono in media maggiori.
Tuttavia, a un certo punto arriva sempre qualcuno che sostiene che la morte dia senso alla vita, come per dire che comunque non ha senso vivere per più di 100 anni. Riportiamo a questo proposito le argomentazioni razionali di Andrew Steele sulla morte, che condividiamo al 100%:
Alcune persone sostengono che la morte dia un senso alla vita: la fine è ciò che permette all’inizio e alla parte centrale di avere un contesto e uno scopo. Senza mezzi termini, credo che questa sia un’assurdità. Le persone possono voler lasciare un’eredità – un lavoro, una famiglia felice, un’azienda di successo o una vita ben vissuta – ma non è necessario morire per fare queste cose. Non è nemmeno ovvio che la morte sia una motivazione intrinseca per riuscirci. L’ultima volta che hai ottenuto una promozione, che hai chiesto a qualcuno di uscire con te o che hai fatto una buona azione, l’hai fatto perché sapevi che la morte sarebbe arrivata da lì a qualche decennio? Semmai, la morte potrebbe essere interpretata come un demotivatore: un incentivo a fare cassa, a smettere di impegnarsi e a passare qualche anno a godersi ciò che si è guadagnato prima che la mortalità ci sorprenda. L’invecchiamento raddoppia questo aspetto, facendoti capire che un giorno potresti essere vivo, ma non più in grado di giocare con i tuoi nipotini, viaggiare o dedicarti a un nuovo hobby. La soluzione che abbiamo trovato è, ovviamente, la pensione. Ma rinviare la fragilità e la fine della vita ci permetterebbe di fare più cose che vogliamo, al nostro ritmo. Se vuoi risparmiare e passare qualche anno “in pensione” prima di tornare a lavorare a 80 anni, perché no? L’idea che la morte dia un senso alla vita sembra poetica, ma non regge alla prova dei fatti.
Anzi, mi spingerei oltre. La morte è terribile. Ogni morte è una tragedia. Sarei felice senza riserve se ce ne fosse meno. Non voglio morire e non voglio che la mia famiglia, i miei amici o chiunque altro debba farlo prima di quanto sia assolutamente necessario. Sono scioccato da quanto questa opinione sembri controversa. Quando una persona muore, la sua personalità, le sue relazioni, la sua conoscenza e la sua saggezza muoiono con lei. È una perdita tragica per la famiglia, gli amici e la comunità che lascia. Dobbiamo riconoscere e accettare il fenomeno della morte, ma non è necessario distorcere la logica e le emozioni e fingere che sia una cosa positiva. Raramente le persone sembrano fare questo ragionamento nel contesto della guerra, degli incidenti d’auto, delle cure per il cancro o di qualsiasi morte individuale (“Sono così felice che sia morta – ha dato un senso alla sua vita”); ma molte persone sembrano difendere la morte quando si parla di invecchiamento.
Ovviamente ci sono buone ragioni per essere rassegnati a morire, come abbiamo visto nei sondaggi sull’aspettativa di vita che ho citato all’inizio di questo capitolo. Se si lotta in condizioni di salute precarie, se si è fortemente dipendenti o se si soffre di dolori costanti, data l’attuale realtà dell’invecchiamento, è difficile biasimare chi desidera che la vita finisca. La demenza potrebbe essere ancora peggiore: i ricordi scompaiono, si dimenticano le persone più care e si perde l’essenza stessa di ciò che ti rende te stesso. E se sei uno dei pochi “fortunati” che sopravvive fino ai 90 anni o oltre, la tua ricompensa è vedere i tuoi amici e i tuoi cari soffrire e morire, lasciandoti infine a lottare, profondamente isolato, per affrontare l’invecchiamento e la morte da solo.
Tuttavia, se curassimo l’invecchiamento, non ci sarebbe nulla di tutto questo: saresti meno fragile, avresti meno possibilità di ammalarti e di ammalarti di demenza, e così anche gli amici e i familiari. Se fossi ancora giovane nel corpo, sano di mente e impegnato socialmente, perché vorresti morire? È possibile che a un certo punto lo vorresti ancora, ma sembra arbitrario sostenere che questo desiderio arriverebbe puntuale al limite superiore dell’attuale aspettativa di vita umana. Inoltre, anche se un giorno desiderassi che la tua vita finisse, l’invecchiamento non sarebbe di certo il modo in cui sceglieresti di farlo.
C’è molto da discutere quando si parla di etica della cura dell’invecchiamento, ma la mia più grande sorpresa nel farlo è stata quella di vedere come spesso l’idea di curare l’invecchiamento ci metta sulla difensiva dello status quo. Il mio obiettivo in questo capitolo è stato quello di indicare i cambiamenti che sono innegabilmente positivi. Il più ovvio è sradicare la più grande fonte contemporanea di sofferenza umana, ma anche molti altri “effetti collaterali” potrebbero essere positivi: una popolazione più numerosa e in grado di prosperare, un aiuto per i Paesi sia ricchi che poveri per evitare una crisi demografica, un aiuto per dare più valore alla vita e liberare risorse per ridurre altre cause di sofferenza umana.
Vale anche la pena sottolineare che aggrapparsi allo status quo è inutile. Spesso tendiamo a pensare che la vita del futuro sarà più o meno come quella di adesso, solo con computer un po’ più veloci e televisori più grandi. Quando cerchiamo di prevedere la tecnologia del futuro, siamo catastroficamente pessimi: per tutte le previsioni di auto volanti, tute argentate e basi lunari, praticamente nessuno ha previsto lo smartphone, al tempo stesso più banale e più trasformativo. Chi può sapere quali innovazioni renderanno irriconoscibile il nostro mondo nel prossimo secolo? O quali trasformazioni sociali, economiche e geopolitiche potremmo subire nel frattempo? Immagina di cercare di spiegare come siamo arrivati ai giorni nostri a un viaggiatore del tempo degli anni Venti. Sospetto che se venissi messo in animazione sospesa fino al 2122, i 150enni dall’aspetto giovanile che vanno in giro sarebbero uno dei cambiamenti meno alieni. Inoltre, se vivrai la rivoluzione dell’invecchiamento, credo che ti acclimaterai così bene al miglioramento dello status quo che potrebbe essere quasi impercettibile. […] Il progresso tecnologico ha sempre causato cambiamenti sociali, ma le società crescono e si adattano, abbracciando i cambiamenti positivi e cercando, nel nostro modo imperfetto, tortuoso e umano, di utilizzare regolamenti, tasse e norme sociali per ridurre al minimo i problemi che si presentano. Questo non è privo di sfide, ma sono sicuro che non molti di noi preferirebbero vivere come contadini nel XVI secolo o come cacciatori-raccoglitori nel 25.000 a.C. piuttosto che nel presente. È ancora più difficile credere che molti di coloro che vivono in una società senza età nell’anno 2200 rimpiangano i bei tempi andati in cui le persone potevano lentamente deteriorarsi fino a morire alla giovane età di 80 anni.
La vita in un mondo post-invecchiamento sarà molto diversa da quella attuale e, visti i rapidi progressi della scienza che potrebbero renderla possibile, faremmo bene a dedicare più energie alla sua pianificazione. Ma la differenza più importante in un mondo senza invecchiamento sarà anche la più semplice: una diminuzione incalcolabile della sofferenza umana dovuta alla fragilità e alle malattie. Questa dovrebbe essere la nostra prossima grande missione biomedica.
Estensione della vita, sovrappopolazione e diritto alla vita: contro l’etica letale

Abstract
Alcune delle obiezioni all’estensione della vita derivano dalla preoccupazione per la sovrappopolazione. Dimostrerò che, a prescindere dal fatto che la minaccia della sovrappopolazione sia realistica o meno, le argomentazioni sulla sovrappopolazione non possono richiedere eticamente di fermare la ricerca e l’accesso all’estensione della vita. Il motivo è che abbiamo il diritto alla vita, che ci permette di non vederci negata una vita significativa contro la nostra volontà e che non consente discriminazioni basate esclusivamente sull’età. Se la minaccia della sovrappopolazione crea un conflitto di diritti tra il diritto di nascere, il diritto di riprodursi, il diritto a maggiori opportunità e spazi (se questi diritti possono essere difesi con successo) e il diritto alla vita, quest’ultimo dovrebbe avere la precedenza.
Fonte: Cutas, Daniela. (2008). Life extension, overpopulation and the right to life: Against lethal ethics. Journal of medical ethics. 34. e7. https://doi.org/10.1136/jme.2007.023622.
Quanto dovremmo vivere: l’etica dell’estensione della vita
Abstract
In futuro disporremo di una tecnologia in grado di estendere la durata della vita umana oltre i limiti massimi attuali, rendendo la questione dell’allungamento della vita una questione urgente per la specie. Alcuni hanno sostenuto che gli esseri umani che vivono più a lungo non sono evidentemente una buona cosa. Altri hanno sostenuto che lo sviluppo di tecnologie per estendere radicalmente la durata della vita umana normale sarebbe sbagliato, perché le conseguenze negative per le società e per le generazioni future supererebbero i benefici della tecnologia. In questa tesi sostengo che lo sviluppo di tecnologie di prolungamento della vita sarebbe lecito.
Procedo innanzitutto esaminando due importanti serie di argomenti di Leon Kass (2004) e Bernard Williams (1973), secondo cui il desiderio personale di una vita profondamente più lunga è irrazionale. Le loro argomentazioni cercano di dimostrare che vivere troppo a lungo sarebbe antitetico a un’esistenza significativa e attraente per un individuo. Analizzo da vicino le argomentazioni di Kass e Williams e alla fine scopro che non dimostrano che il desiderio di una profonda sopravvivenza personale sia irrazionale o che la sopravvivenza sia necessariamente un male per l’individuo.
Partendo da questa conclusione, sostengo che il prolungamento della vita potrebbe essere una buona cosa, mostrando perché la morte può essere un danno per chi muore e perché una vita più lunga è migliore di una più breve, a parità di altre condizioni. Lo faccio innanzitutto difendendo e modificando le opinioni sul perché la morte può essere negativa per chi muore, come il ‘conto della privazione’ di Nagel e il conto di Williams sull’importanza dei ‘desideri categorici’. Difendo anche una visione ‘non episodica’ dell’esperienza personale e della soddisfazione dei desideri contro la visione epicurea ‘episodica’ del tempo personale, per rivelare perché una vita più lunga, a parità di altre condizioni, è migliore di una più breve.
Se la sopravvivenza non è necessariamente un male per l’individuo e una morte prematura può essere un danno, allora il prolungamento della vita – per quanto riguarda l’individuo – deve essere un bene. Partendo da queste conclusioni, procedo a sostenere che lo sviluppo di una tecnologia di prolungamento della vita sarebbe lecito. Concentrandomi esclusivamente su un’argomentazione di Peter Singer (1991), secondo cui lo sviluppo di un farmaco per l’estensione della vita che raddoppiasse la durata media della vita umana a 150 anni sarebbe inammissibile – perché così facendo si creerebbe un mondo futuro con un benessere totale e medio più basso – metto in evidenza i problemi dei principi morali che guidano Singer alla sua conclusione e propongo una versione più accettabile dell’utilitarismo medio, che, se applicato al caso dello sviluppo di un farmaco per l’estensione della vita, dimostra che lo sviluppo di un farmaco che raddoppi la durata della vita umana porterebbe a un risultato con una felicità media più alta per persona, rendendo la decisione di sviluppare l’estensione della vita ammissibile secondo una visione consequenzialista.
Partendo dal presupposto che lo sviluppo di una tecnologia di estensione della vita sarebbe lecito, sfido l’argomento secondo cui l’unica distribuzione giusta della tecnologia di estensione della vita è quella di fornire a tutti un accesso uguale. Espongo il caso che la tecnologia di prolungamento della vita sarebbe distribuita in modo più equo in base a una certa interpretazione del principio di differenza rawlsiano della distribuzione delle risorse, in modo da dare priorità a coloro che sono meno avvantaggiati rispetto all’aspettativa di vita. La mia difesa di questa versione prioritaria del principio di differenza è anche compatibile con l’idea che le persone anziane possano talvolta meritare la priorità per gli interventi di prolungamento della vita rispetto alle persone più giovani, mettendo così in discussione l’intuizione ‘equa’ secondo cui dovremmo, in linea di principio, dare la priorità per gli interventi di prolungamento della vita alle persone più giovani rispetto alle persone più anziane, quando sono in competizione per queste risorse.
Le conclusioni di questa tesi rivelano alcune idee sbagliate sul valore di una vita più lunga per gli individui e sullo sviluppo della tecnologia di prolungamento della vita. Abbiamo bisogno di un’analisi filosofica più dettagliata delle questioni relative all’allungamento della vita degli esseri umani e delle conseguenze di una tecnologia in grado di estendere radicalmente la vita umana, rispetto a quanto è stato dedicato a questi temi fino a questo momento.
Fonte: Bunn, A. (2015). How Long Ought We To Live: The Ethics of Life Extension. [Doctoral Thesis, Charles Sturt University]. Charles Sturt University. [Link]
Molto interessante è anche La Favola del Drago Tiranno del filosofo Nick Bostrom, un racconto allegorico sull’invecchiamento, con una esplicita morale alla fine.
Il tema è molto ampio e ci sono diversi altri argomenti da considerare per comprendere appieno gli aspetti etici in relazione all’invecchiamento, che sono l’argomento principale di questo sito, il quale è in fase di sviluppo. Ti consiglio di dare un’occhiata alle FAQ su invecchiamento e ringiovanimento, se non l’hai ancora fatto.
Riferimenti
- Bunn, A. (2015). How Long Ought We To Live: The Ethics of Life Extension. [Doctoral Thesis, Charles Sturt University]. Charles Sturt University. [Link]
- Cutas, Daniela. (2008). Life extension, overpopulation and the right to life: Against lethal ethics. Journal of medical ethics. 34. e7. https://doi.org/10.1136/jme.2007.023622.
- Bostrom N. (2005). The fable of the dragon tyrant. Journal of medical ethics, 31(5), 273–277. https://doi.org/10.1136/jme.2004.009035
Link esterni
- https://andrewsteele.co.uk/ageless/ethics/a-world-without-ageing/
- https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/18757626/
- https://researchoutput.csu.edu.au/en/publications/how-long-ought-we-to-live-the-ethics-of-life-extension-3
