“Basta, ora voglio gettare la maschera ed essere pienamente me stessa, senza preoccuparmi di cosa pensano gli altri”.
Dato che, in una prima parte di vita, spesso viviamo dentro una prigione fatta essenzialmente di paura del giudizio degli altri, seguendo degli schemi precostituiti che non ci appartengono, una volta acquisite certe consapevolezze si percepisce un guadagno di libertà.
A questo punto però, viene spesso fatta la seguente associazione mentale:
invecchiamento = maturità = consapevolezza = libertà di essere sé stessi
Quindi si tende a credere che l’invecchiamento determini una maggiore libertà di essere sé stessi. Ma attenzione:
siamo sicuri che sia proprio l’invecchiamento a causare l'(eventuale) aumento di consapevolezza? O forse stiamo facendo un minestrone tra associazione e causa? L’aumento di consapevolezza è causato da esperienza ed apprendimento con il tempo, non dall’accumulo dei danni (invecchiamento).
siamo sicuri che, invecchiando, cioè accumulando danni, si possa rimanere pienamente sé stessi e che la libertà aumenti?
Il tema non è banale, e coinvolge la confusione tra il passare del tempo, inevitabile, con l’accumulo di danni fisici, che sono perdita di integrità fisiologica (invecchiamento biologico, senescenza, che non è inevitabile in assoluto). È un fraintendimento estremamente comune, soprattutto tra i non-biologi.
Per rendere l’idea delle implicazioni dell’invecchiamento sull’essere sé stessi, sul senso di sé e su senso in generale, si riporta la traduzione di un articolo pubblicato su Pyschology Today il 13 Dicembre 2013. Poi, sotto l’articolo, verrà fornita la spiegazione biologica del perché l’invecchiamento biologico (senescenza) implica perdita di identità.
“Invecchiare fa schifo!”
Per mio padre, 86 anni, la vecchiaia significa una lenta e triste perdita di ciò che è.
“Invecchiare fa schifo!” È quello che mi ha detto mio padre, 86 anni, durante una recente visita. Vive a Boca Raton, in Florida, da quando si è trasferito dalla mia casa d’infanzia nel Connecticut qualche anno fa. Vive da solo; sua moglie da 49 anni, mia madre, è morta di cancro alle ovaie dieci anni fa all’età di 73 anni (è morta un mese dopo il mio matrimonio e non ha mai conosciuto i suoi nipoti, ma questa è un’altra storia). Avevano un matrimonio incredibilmente autonomo e non mi aspettavo che mio padre vivesse ancora a lungo dopo la morte di mia madre. Ma è un tipo tosto, essendo cresciuto povero a Brooklyn e avendo costruito una vita straordinaria per sé e per la nostra famiglia.
Mio padre vive una vita molto solitaria. Io vivo dall’altra parte del Paese e mia sorella a Londra, quindi non lo vediamo spesso (anche se entrambi ci sentiamo regolarmente su Skype). Non ha amici e, a parte le passeggiate quotidiane nel quartiere e le gite al supermercato, esce raramente di casa. L’unico contatto regolare è con l’assistente sanitaria domiciliare, una giovane donna meravigliosa che viene cinque giorni alla settimana e si assicura che mangi bene, prenda le medicine, faccia la fisioterapia e gli dia un po’ di compagnia. Sia io che mia sorella abbiamo chiesto a mio padre di trasferirsi da noi, ma lui rifiuta. Il suo mondo si è costantemente ridotto fino a raggiungere un diametro di pochi chilometri (non vuole più volare).
Mio padre è sempre stato un tipo atletico e in forma (ha sciato fino a 81 anni) e tuttora gode di una salute fisica generalmente buona per un uomo della sua età. Ma all’inizio di quest’anno gli è stata diagnosticata la demenza e il suo declino cognitivo è stato molto forte; aveva difficoltà a ricordare le cose e farfugliava e balbettava spesso quando parlava. Ma una nuova serie di farmaci ha portato a una notevole inversione di tendenza, tanto che di recente abbiamo avuto una lunga conversazione sul sistema sanitario e sull’Affordable Care Act, che non è una sorpresa. Le sue conoscenze erano profonde, i suoi pensieri concentrati e i suoi contributi alla conversazione chiari e convincenti. Ma i nuovi farmaci non fanno che rallentare l’inevitabile marcia di mio padre verso l’oblio. Vedere il suo corpo, un tempo tonico, deteriorarsi è già abbastanza brutto, ma vedere la sua mente, un tempo acuta, andare via è davvero doloroso (e lo è ancora di più per lui) perché sembra che stia perdendo se stesso.
Tra le cose più interessanti che mi ha confidato c’è stata la sua realizzazione di essere un uomo anziano (espressa con incredulità assoluta). A prima vista, sembra un’affermazione strana, visto che ha 86 anni, un uomo molto vecchio a detta di molti. Eppure, egli non si considera vecchio anche quando è evidente che lo è. Riflettendoci, questa incongruenza tra percezione e realtà ha in realtà un senso. Mio padre è veramente vecchio, secondo la definizione della sua salute e del suo funzionamento, solo da circa cinque anni, ma prima era giovane e vigoroso da decenni. Ci vuole tempo perché la percezione si adegui alla realtà, ma non sono sicuro che lo faccia mai.
Mio padre mi ha detto di recente che il suo unico scopo nella vita ora è sostenere il “complesso medico-industriale”. E lo fa con diversi viaggi settimanali presso un team di medici e fisioterapisti, il negozio di forniture mediche e la farmacia. Certo, ha i suoi piccoli piaceri, come collegarsi via Skype con le nipoti il sabato mattina, leggere e guardare C-SPAN. Ma il significato e il vero scopo? Dice di non avere né l’uno né l’altro.
In realtà penso che la morte di mia madre sia stata più dignitosa e umana. Sì, ha sofferto per più di un anno a causa di un intervento chirurgico e della chemioterapia prima di morire. Ma è stata se stessa fino alla fine e tutti noi abbiamo potuto dirle addio e fare pace con la sua morte. Ma per mio padre, come per molti altri, la vecchiaia significa una lenta perdita della sua identità. E la situazione non potrà che peggiorare, soprattutto se il suo corpo rimarrà in vita mentre la sua mente, a tutti gli effetti, morirà.
Di recente ho chiesto a mio padre se avesse mai pensato di “uscire” (non riuscivo a usare la parola con la S). Mi ha risposto che l’aveva fatto, ma non era ancora arrivato a quel punto. È interessante notare che alcuni anni fa mi disse che quando sentiva che la sua vita non aveva più senso, se ne sarebbe andato. Suppongo che sia una cosa facile da dire quando la morte è lontana. Ora dice che le cose non sono ancora andate così male. Il mio pensiero immediato è stato che quando le cose si mettono male, è troppo tardi per fare qualcosa. In ogni caso, al giorno d’oggi non ci sono modi semplici per porre fine alla propria vita, a meno che non si disponga di un’auto e di un garage, che, a quanto ho sentito, è il modo più semplice e comodo di porre fine alla propria vita. Mi viene in mente un racconto di Kurt Vonnegut, Ethical Suicide Parlor, tratto da Welcome to the Monkey House, in cui esistono dei centri di suicidio gestiti dal governo in cui le persone possono scegliere di porre fine alla propria vita. Non mi sembra del tutto irragionevole (anche se questa è un’altra storia).
Le mie riflessioni sulla vecchiaia mi hanno anche fatto ricordare una splendida battuta del compianto George Carlin su come invecchiare al contrario sarebbe molto meglio. Si inizia da vecchi, la vita migliora man mano che si ringiovanisce, prima della morte si è nel conforto del grembo materno e poi si muore nel momento dell’orgasmo paterno. Questo sì che è un lieto fine!
Ma per mio padre non c’è nessun lieto fine. Solo una vita che non sembra più una vita e una lenta, straziante e ineluttabile marcia verso la morte. Sono d’accordo, papà: “Invecchiare fa schifo”.
Questa testimonianza pubblicata su Psychology Today è importante perché, oltre che della perdita di salute e della demenza, parla di due concetti fondamentale legati all’invecchiamento, ovvero la perdita di sé e la perdita di senso. L’invecchiamento ha traiettorie molto diverse da persona a persona (e da specie a specie) e si può invecchiare gravemente a livello cerebrale anche prima del “normale”: il caso di Paolo a 43 anni (vedrete i numerosi riferimenti dei familiari alla perdita dei pezzi di sé, purtroppo). Ciò non nega in alcun modo il concetto che l’invecchiamento biologico sia la causa delle demenze, ma anzi conferma il concetto che l’invecchiamento è l’accumulo dei danni molecolari, quindi non è il passare del tempo. Naturalmente il profilo dei danni varia da persona a persona a seconda di varie condizioni genetiche ed epigenetiche, quindi avremo anche casi precoci di varie malattie che normalmente si verificano in età più avanzata.
Non c’è retorica in questo articolo di Psychology Today, ma rispetto e solidarietà per quello che una persona prova. Non tutti nascondono la testa sotto la sabbia e negano l’orrore dell’invecchiamento, e fa piacere che non lo faccia un articolo su un sito di psicologia, dato che in psicologia spesso (senza fare di tutta l’erba un fascio) si ricorre alla retorica dell’accettazione, o peggio, alla patologizzazione di un sentimento di paura dell’invecchiamento, etichettandolo “narcisismo” o fobia (peccato che le fobie riguardino paure infondate, mentre la scienza mostra che l’invecchiamento è di gran lunga la principale causa di patologie). Ma se d’altra parte la fisica, la scienza esatta per eccellenza, non pretende di dire verità incontrovertibili, coltiva il dubbio e si mette sempre in discussione, figuriamoci se scuole di pensiero in psicologia o psichiatria possono pretendere di dare certezze ed etichettare in senso patologico il sentimento di paura e rifiuto dell’accumulo di danni che rovinano la propria salute e uccidono, ovvero l’invecchiamento. Molte persone tengono alla propria salute nonostante il passare del tempo, e se ci tengono, reagiranno di conseguenza, non essendo indifferenti, in innumerevoli modi che rispecchiano la diversità umana.
Se non si ascolta veramente la sofferenza senza giudicare, non si impara nulla. Ci sono molte persone che affermano che invecchiare fa schifo o che parlano male dell’invecchiamento, tra cui Robert De Niro, Michael Douglas, Richard Feynman, Umberto Galimberti, Virna Lisi, Lella Costa, Curtney Cox, Renee Zellweger, Matt Le Blanc, Arnold Schwarznegger, Piero Angela e molti altri. E molto probabilmente saranno sempre di più mano a mano che si esce dal giudizio, e si dice con onestà quello che ci fa soffrire e quello che si desidera — di solito si desidera vivere, stare bene e in salute, e questo esclude automaticamente l’invecchiare e morire (vedi FAQ per capire perché).
La questione è molto profonda anche dal punto di vista teorico, dato che, biologicamente, l’invecchiamento è perdita di struttura e funzione (cioè “danno”), quindi perdita di informazione e quindi perdita di identità, a vari livelli. Noi siamo noi stessi in quanto ci distinguiamo dagli altri in ciò che facciamo e proviamo, e questo dipende dalla nostra struttura biologica, in cui va inclusa l’architettura della rete neuronale in tutti i suoi dettagli più fini. Se il corpo e i neuroni si deteriorano, perdono la loro integrità fisiologica (un neurone non può funzionare come prima se perde la capacità di sintetizzare certi neurotrasmettitori, o se addirittura diventa una cellula della pelle, cambiando identità, cosa che accade con l’invecchiamento), e questo implica non solo un deterioramento cognitivo, ma anche che (considerando l’ascesa dell’affettivismo nelle neuroscienze) potremo sempre meno emozionarci in modo pieno, appassionarci, e comportarci nel modo che ci ha sempre contraddistinto e che amavamo (ecco la perdita di sé e di senso), e questa perdita progressiva arriva fino ad annullare completamente la vita, diventando perdita totale, estrema, con la morte. (Purtroppo, una perdita parziale di funzionamento neurale viene spesso considerata positiva perché può determinare a una minore ansia o sofferenza psicologica — che però è tendenzialmente adattativa — insieme a un minore desiderio e minore reattività.)
“Non è tanto chi sei, quanto quello che fai, che ti qualifica”
Se non puoi fare più ciò che ti contraddistingue nel modo in cui lo sapevi fare, e questo vale per ogni cosa, non sei più te stesso. D’altra parte quello che sei determina anche quello che fai, dato che la struttura e funzione sono inseparabili in biologia. Le basi biologiche dell’individualità sono poi un concetto complesso delle neuroscienze. Se prima ti importava stare bene, fare sport, innamorarti, essere pienamente vitale, perché dopo non dovrebbe importarti più? Si sta parlando di persone diverse? Certo, è stato notato che la personalità cambia invecchiando, ma non si è mai andati a fondo dei meccanismi biologici associati a questo cambiamento.
I danni strutturali che si accumulano causano perdita di funzione, portando alla fine a declino cognitivo-emozionale, apatia, demenze e morte. Non ci credete? Prendiamo una definizione scientifica di invecchiamento:
L’invecchiamento è un processo fisiopatologico graduale e irreversibile. Si presenta con un declino delle funzioni dei tessuti e delle cellule e con un aumento significativo dei rischi di varie malattie legate all’invecchiamento, tra cui malattie neurodegenerative, malattie cardiovascolari, malattie metaboliche, malattie muscolo-scheletriche e malattie del sistema immunitario.
Guo, J., Huang, X., Dou, L. et al. Aging and aging-related diseases: from molecular mechanisms to interventions and treatments. Sig Transduct Target Ther7, 391 (2022). https://doi.org/10.1038/s41392-022-01251-0
La perdita di senso segue alla perdita definitiva di ciò che si ama, ad esempio le persone amate, e tra le persone amate ci siamo innanzitutto noi stessi. Avere sé stessi è la base per tutto il resto. Se ho me stesso posso ricominciare una nuova vita, posso superare un lutto (il che non significa che il lutto in sé non sia un problema, dato che implica perdita estrema dell’altro e nell’altro), cosa che da giovani è possibile — “sei giovane, hai tutta la vita davanti” —, ma se andando avanti sono destinato a perdere persino me stesso, non ho proprio alcuna via di uscita, alcun appiglio. E la morte è la manifestazione fisico-biologica ultima di questa perdita di senso, sensi e identità. O si vuole sostenere che un mucchio di ossa ancora è un essere umano? L’invecchiamento è insopportabile, proprio biologicamente, fisicamente. E il lutto di sé stessi non è superabile.
Poi ok, vogliamo sperare in un ipotetico “dopo morte”? Liberissimi, ci spero anche io, ma non per questo bisogna ignorare il problema di salute associato all’invecchiamento biologico.
Ti senti una “ragazza” o ti senti una “signora”? E cosa vorresti essere?
La perdita della giovinezza è un primo lutto vero per molte persone sensibili, primo segnale di allarme psicologico della perdita di sé, dato che la mente e le emozioni cercano di prevedere il futuro alla ricerca di minacce e premi, per evitare le prime e ottenere i secondi, ma… nel caso dell’invecchiamento non trovano soluzioni. La perdita di giovinezza assume le caratteristiche del problema non risolvibile, e un problema irrisolvibile, in generale, è ciò che terrorizza di più. Ha a che fare con la perdita definitiva dell’amabile (e si è felici quando si è di fronte all’amabile).
Prendiamo una “ragazza”. A un certo punto della vita, inizia ad essere chiamata “signora”. Avete idea dell’impatto che questo può avere in moltissime persone? Ma qual è la sua identità, quella di essere una signora o di essere una ragazza? Quella persona si sente un signore o un ragazzo? Cosa desidera essere? Chi desidera incontrare? Perché non posso dire che mi sento più a mio agio in e con una certa fascia d’età o condizione fisica? Sembra un concetto totalmente tabù. Si parla molto di identità di genere e orientamento sessuale, giustamente, ma di questo tema gigantesco ancora non si parla. Credo che se ne parlerà di sicuro, mano a mano che la comprensione della diversità aumenta. Ma comunque, mediamente non sembra che la gente ami invecchiare. Chiunque nel presente vuole essere giovane o giovanile, dimostrare meno anni.
Vogliamo poi parlare, tema comunque correlato, della solitudine amorosa delle donne e negli uomini che non sono più giovani e che sono stati sfortunati in amore? O facciamo finta che questo problema, che poi diventa estremo nella vecchiaia, non esista? Mica tutti hanno avuto la fortuna di avere avuto una vita piena e senza gravi intoppi nel percorso (di intoppi ce ne sono un’infinità, dei tipi più disparati). Ma anche quelli che hanno avuto una vita piena, non gradiscono di certo il deperimento proprio e delle persone amate, né farsi vedere deperire e morire da figli (vedi la testimonianza di sopra) e compagni.
La ricerca sull’invecchiamento e sulla medicina rigenerativa, in base al paradigma emergente della geroscienza, disciplina che unisce lo studio delle malattie a quello dell’invecchiamento, mira a risolvere i problemi di salute e resilienza agendo a livello dell’invecchiamento stesso. Invece di combattere migliaia di malattie croniche, invalidanti e mortali, si cerca di agire a livello della principale causa di base: l’invecchiamento biologico. Vedi https://www.nature.com/articles/s43587-020-00022-2.
Ecco quindi il senso della ricerca sul ringiovanimento biologico, che alla fine ha lo scopo di rimanere pienamente sé stessi, che naturalmente va visto anche a livello interpersonale.
Il fatto di sapere di avere pochi giorni a disposizione, e con qualità della vita in declino, non aumenta il valore della vita, semmai genera angoscia esistenziale.
Avere cinquant’anni fa schifo – ha dichiarato nell’intervista, rilasciata nel 2017 al compimento del fatidico traguardo del mezzo secolo – Non c’è un modo di addolcire la cosa. Tu pensi, wow, che fine ha fatto tutto il tempo? Mi sento ancora come se ne avessi appena compiuti 40.
Matt LeBlanc
Michael Douglas e Robert De Niro parlano dei problemi dell’invecchiamento
Naturalmente non è che citare persone che parlano male dell’invecchiamento dimostri automaticamente che hanno ragione, dato che uno potrebbe citare altre persone che dicono che invecchiare è bellissimo. Ma ci sono le evidenze delle neuroscienze e della geroscienza. In ogni caso sarebbe bene rispettare la diversità dei sentimenti delle persone, a maggior ragione se vanno verso il mantenimento della salute. Dal punto di vista etico, volere che le persone rimangano sane non può essere sullo stesso piano di chi vuole che muoiano tutti, dimenticandosi di diversità e libertà di scelta. Si veda anche aspetti etici dell’estensione della salute.
Concludendo, la ricerca scientifica sul ringiovanimento serve a ottenere la libertà di essere sé stessi, in tutti gli aspetti. Ad oggi non c’è quasi nemmeno la libertà di essere sé stessi nel rivendicare il desiderio di poter rimanere vivi e in piena forma e salute nonostante il passare del tempo. Ma anche il desiderio, perché no, di mantenere la propria freschezza e giovinezza — desiderio che comunque, per quanto non chiaro alla maggior parte delle persone, è implicito nel desiderio della piena salute, dato che per avere una piena salute, la struttura biologica necessaria è quella che caratterizza l’età giovanile.
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