Perché le rughe non sono belle? Perché invecchiare non è bello?

Perché è la manifestazione fisica di un danno

Foto di Michal Jarmoluk da Pixnio

Perché le rughe NON sono belle? Perché quando le persone dicono “L’ho visto invecchiato..” intendono “L’ho visto peggiorato?” Perché le persone amano sentirsi dire: “Non dimostri i tuoi anni, sembri più giovane”? E come mai “Sembri più giovane” si dice con piacere, mentre “Sembri più vecchio” si evita direttamente di dirlo?
Perché nessuno va a cercare trattamenti invecchianti, ma semmai ringiovanenti? Mode? Modelli sbagliati della società che valorizzano l’apparenza e l’esteriorità?

Decisamente no. Abbiamo ormai una chiarissima spiegazione di tipo biologico-evoluzionistico, ed è riportata, ad esempio, nel documentario “Perché le cose belle ci rendono felici – La Bellezza spiegata”, nel canale di divulgazione scientifica Kurzgesagt – In a nutshell:

Perché le cose belle ci rendono felici – La Bellezza spiegata | Kurzgesagt – In a nutshell

Il documentario parla della percezione della bellezza in generale, ed è applicabile anche nell’ambito di giovinezza e invecchiamento.

Periodicamente, qualche persona o VIP se ne esce dicendo: “Dobbiamo cambiare la percezione dell’invecchiamento, le rughe sono belle.” e affermazioni simili. Purtroppo questo è il modo sbagliato di vedere le cose, anche se non è semplice farlo capire. È sbagliato perché tende a mantenere uno status quo dannoso.

Il punto chiave è che l’evoluzione tende ad associare il senso della bellezza a situazioni vitali, favorevoli, positive, perché essere attratti da situazioni (quindi anche persone) salutari e fertili migliora la sopravvivenza. Ecco perché il nostro umore è basso quando siamo dentro una guerra o dentro morte e distruzione di altro tipo (diagnosi infauste, lutti, terremoti catastrofici, perdita di persone amate). Naturalmente si può ampliare molto questo discorso, approfondendo il ruolo biologico del dolore, ma non lo faremo in questo articolo, basti dire che il ruolo essenziale del dolore è segnalare in modo urgente un danno reale o potenziale ai tessuti.[1]

L’invecchiamento è l’accumulo di vari tipi di danni, causa di disfunzioni, malattie e morte. Non ha senso fare violenza sui sentimenti umani obbligando a far ritenere belli i danni, e bello un fenomeno distruttivo che deteriora la salute, perché sarebbe contro-adattativo, nel lungo termine.

Le rughe sono in effetti una manifestazione di una perdita di struttura e funzione a livello della pelle, quindi sono effettivamente dei danni. Il fatto che siano proprio danni lo si può capire, per esempio, nell’osservare che i raggi ultravioletti possono danneggiare la pelle, e il risultato è proprio una pelle più invecchiata! Lo stesso vale per le persone che fumano. Una pelle più danneggiata appare come, e vuol dire proprio, una pelle più invecchiata. Ogni danno è un deterioramento, per quanto piccolo, ma alla fine i piccoli danni si accumulano e diventano importanti e visibili, diminuendo la resilienza, rendendo più fragili, ecc.

Siamo attratti maggiormente verso una persona che appare più giovane, cioè meno danneggiata, perché tendenzialmente più vitale e fertile, meno fragile, e questo ha implicazioni su sicurezza, stabilità e riproduzione. Naturalmente viene valutata anche la freschezza a livello mentale, l’intelligenza, la memoria, ecc. (tutte cose che con l’invecchiamento peggiorano, dato che l’invecchiamento è associato anche a declino fisico del cervello e quindi declino mentale).

Le rughe sono solo i danni esterni più visibili, ma ce ne sono molti altri invisibili, interni, che arrivano a livello gentico ed epigenetico. Di questi la gente non parla perché non li vede, non li conosce, ma se ne occupano i ricercatori.

I sentimenti generali, di rifiuto, nei confronti dell’invecchiamento sono corretti, in quanto etichettano il danneggiamento (sinonimo di invecchiamento) come problema. Esistono questi sentimenti, come anche la paura della morte, perché l’evoluzione ci ha dotato di un sistema generale di prevenzione del danno, e naturalmente tenderà a riconoscere e rifiutare, in modo variamente consapevole, ogni cosa che è ritenuta dannosa. Naturalmente tutto va visto declinato nella diversità, cioè non siamo tutti uguali, ma esistono tendenze generali.

Questa non-indifferenza nei confronti delle situazioni problematiche tenderà a far evolvere verso una situazione non dannosa in cui le persone possano rimanere felici e piene di vita (lo scopo universale che viene tradito in dibattiti in cui si parla di tutt’altro… per es. una persona critica sullo stile di vita vegano ha scritto: “fatemi vedere un vegano felice e pieno di vita”).

L’uomo è unico rispetto agli animali perché può fare questo tipo di ragionamento e può anche fare ricerca sulla medicina rigenerativa. Ma può estendere i risultati anche agli animali (vedi Dog Aging Project).

Immagine presa da un video a caso sui cani, che mostra come sia una cosa nota che i cani anziani abbiano vari problemi di salute.

Per raggiungere l’amore e viverlo pienamente si deve essere come minimo, ma proprio come minimo, vivi. L’invecchiamento uccide, quindi distrugge ogni eventuale amore. La morte è separazione.

Ma, appunto, essere in vita è condizione necessaria, ma non sufficiente: non basta essere vivi, lo scopo non è il mero sopravvivere(*). Bisogna che l’integrità fisiologica sia ottimale, per poter esprimere i sentimenti, dato che il declino emotivo-cognitivo ne riduce la pienezza, rendendoli meno vividi e presenti.
I sentimenti non sono solo il pianto e la commozione, sono anche tutti quelli di gioia, passione, entusiasmo, piacere, euforia, libido, eros e affettività, che permettono la passione e il raggiungimento della vera felicità.
Ecco a cosa serve la lotta contro la morte. Non è una lotta fine a sé stessa per il mero sopravvivere. La morte si sconfigge mantenendo la piena salute, ma lo scopo è ancora superiore alla piena salute: lo scopo è amore, eros e passione, declinate nei vari modi di essere delle diverse persone.

(*) anche se, nella retorica pro-aging contraddittoria, che dice “invecchiare è un privilegio”, sostanzialmente si sostiene che a un certo punto bisogna accontentarsi del semplice essere vivi e fare il record di candeline, dimenticandosi completamente del resto. Poi ad un certo punto invece la morte diventa una liberazione perché si smette di soffrire (buttando il bambino con l’acqua sporca). La felicità, lo scopo ultimo, era stata persa e dimenticata da un pezzo.

Riferimenti

  1. Kandel, Eric R., James H. Schwartz, Thomas M. Jessell, Stevan A. Siegelbaum, A. J. Hudspeth, Virgilio Perri, and Giuseppe Spidalieri. 2015. Principi Di Neuroscienze. Casa Editrice Ambrosiana.

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